Tuttavia qualcosa era rimasto in sospeso. Qualcosa di piuttosto evidente, se vogliamo. Che di fronte allo sguardo esteso, a tutto campo, di Soderbergh non appariva, forse, nascosto, ma passava in secondo piano, come fosse superficiale. Del mestiere dello spogliarellista, nel primo "Magic Mike", infatti era presente solo il fascino, i muscoli, la spettacolarità effimera della performance, unite alle vite dei talent che un po' per necessità e un po' per via di una crisi evidente (economica e sociale), si davano al pubblico alla ricerca di soldi facili e vita da star. Veniva data luce quindi solo a un lato della medaglia, dimenticando le sfumature che questa versione XXL vuole invece far parlare, cambiando totalmente punto di vista. Ha in mente di capovolgere ogni certezza allora il regista Gregory Jacobs (al suo esordio, dopo la gavetta come aiuto regista di Soderbergh), aprendo le porte a quel mondo femminile - solitamente compreso dai quaranta in su - che a quei spettacoli testosteronici ha voglia di partecipare, per entusiasmarsi e ritrovare felicità. Lo fa soprattutto attraverso le chiacchierate scambiate tra Mike e i suoi amici che, diversamente da prima, hanno imparato a vivere il loro mestiere/hobby come fosse una vera e propria passione da difendere: li sentiam discutere di quanto il loro ruolo sia simile a quello di un guaritore e di quanto sia grande il senso di responsabilità che portano verso quelle fan che partecipano alle loro esibizioni per sfuggire a una realtà grigia, tendenzialmente triste e non appagante. Lo stesso discorso, pressappoco, che ha portato il personaggio di Jada Pinkett-Smith ad innalzare il suo castello da cui non esce (quasi) mai, dove le donne possono iscriversi diventando immediatamente regine e perdersi nella generosità dei performer che hanno il dovere di andare incontro alle loro fantasie più nascoste (senza mai sfociare nel sesso, ovviamente) che nel mondo maschilista non incantato, lasciato fuori, sembra debbano esistere unicamente a senso unico.
Nasce dunque un'empatia diversa tra il pubblico e la pellicola, un'empatia che nel primo capitolo c'era, si, ma verso una società dipinta in maniera negativa e tetra. Stavolta invece il soffio è talmente positivo e vitale da riuscire ad avvolgere chiunque col suo messaggio di speranza e di gloria che non dimentica le difficoltà, ma nemmeno atterra oltremodo.
Finisce quindi per simulare il maestro, l'allievo, che magari non lo supera, ma in qualche modo lo eguaglia. L'impronta soderbrghiana è forte in Jacobs che tuttavia ci tiene a dare alla sua opera un piccolo distacco che sa di personalità e carattere. Doti che gli permettono di realizzare un sequel acuto, coerente e inaspettato.
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