Il mio nome è Max Eisenhardt.
Sono stato un Superkommando ad Auschwitz per quasi due anni.
Ho visto migliaia di uomi, donne e bambini camminare incontro alla morte.
Ho portato fuori i loro corpi dalle camere a gas. Ho estratto loro i denti, cosicchè i tedeschi potessero prendere l’oro.
Li ho portati ai forni, dove ho imparato a disporre insieme i corpi di un bambino e di un vecchio perchè bruciassero meglio.
Ho visto i miei compagni sepolti vivi da una montagna di cadaveri putrefatti.
Ho visto migliaia di persone assassinate bruciare in giganteschi pozzi esterni.
Ho visto morire con i miei occhi almeno un quarto di milione di esseri umani.
Premettendo che non sono una lettrice Marvel, ne una appassionata degli X-Men, mi è capitato quasi per caso o forse per sfida di leggere la graphic novel Magneto Testamento. Direi che non esiste sicuramente modo migliore di avvicinarsi alla Marvel da profana quale sono.
Siamo nel 1935, in Germania, Hitler è ormai al potere, proclamato cancelliere nel 1933, emana in questo anno le tristemente celebri Leggi di Norimberga. Il protagonista della vicenda è un giovane adolescente, Max, un ragazzo dotato, intelligente ed ebreo. La cornice in cui si sviluppa la storia è decisamente nota, l'ascesa del regime nazista, la caccia agli ebrei, la shoa. Un argomento delicato, che viene trattato nei testi di Greg Pak e nelle illustrazioni di Carmine Di Giandomenico, in modo esemplare, delicato, toccante ed emozionante. L'impaginazione alterna pagine libere ad intere sequenze imbrigliate e costrette, che rendono perfettamente l'idea della terrificante prigionia dei campi di concentramento e contribuiscono alla narrazione stessa. Il disegno, a metà tra realismo e stile cartoon, riesce a creare una comunicazione di fondo, che sembra non necessitare di parole. I capitoli inoltre vengono intervellati da stupendi dipinti digitali di Marko Djurdjevic (copertine dei volumi singoli della prima edizione). Gli sguardi rappresentati da Di Giandomenico, diventano protagonisti e fautori della narrazione e
in essi leggiamo l'evoluzione dei personaggi. Ritroviamo il padre di Max, nei quali occhi non cessa mai di luccicare la speranza, un veterano di guerra, funzionario statale che non smette di credere che il Paese per cui ha dato tanto non gli volterà le spalle. Gli occhi grandi di Magda, ragazzina rom, amore adolescenziale di Max e sua ragione di vita. In tutta la narrazione sono poche le parole riservate a questo personaggio, che tuttavia rimane impresso nel lettore proprio grazie a questi occhi, i suoi sguardi sono i più rumorosi, quelli di chi è stato sempre al margine, di chi non ha diritto di parola, di chi ha paura.
Poi c'è Max, totalmente all'oscuro dei suoi poteri, con quegli occhi che come dice il padre "ci hanno sempre visto bene", giovane, irrequieto e costretto a prendere decisioni a cui nessuno dovrebbe nemmeno pensare, ad assistere agli orrori della storia senza proferir parola, senza muovere il minimo muscolo. Emerge da Magneto Testamento, questa spinta per la sopravvivenza comune, questo senso di gruppo. Per il bene comune, per evitare le stragi e le ripercussioni non bisogna reagire, ma solo subire ed alla fine si muore comunque, lo sterminio avviene lo stesso. Risuonano, quindi, quelle parole dette dal padre di Max "A volte nella vita arriva un momento in cui tutto diventa chiaro. In cui tutto è possibile. In cui improvvisamente tu puoi far succedere qualcosa. Che Dio ci aiuti se cogliamo quel momento. E Dio ci perdoni se lo lasciamo sfuggire", ed è a quel punto che c'è una reazione, una ribellione contro l'oppressore, contro quei fantasmi dallo sguardo di ghiaccio vuoto ed assente. Un impeto alla vita, una presa di posizione di quegli individui consapevoli che stando alle regole non si sopravvive comunque, individui stanchi di essere inermi di fronte alla strage, stanchi di bruciare cadaveri della propria gente. Questa storia quindi dal 1935 arriva fino al 1944, alla rivolta dei Crematori II e IV ad Auschwitz, fomentata da Max stesso e dove egli coglie l'occasione per fuggire con Magda.
Al termine quello che vediamo è un Max diverso, gli occhi, lo sguardo non sono più gli stessi stessi, sono quelli di Erik Magnus Lehnsherr, del sarà Magneto, il cattivo più famoso e riuscito della Marvel. "Il mio nome è Max Eisenhardt chiunque trovi questo, sappia che mi dispiace. Perchè io sono morto e ora è tutto nelle vostre mani. Ditelo a tutti. A chi ascolterà e a chi no. Vi prego. Fate che non succeda mai più." Questo testamento del giovane Magneto, ritrovato da egli stesso, è un augurio, ma al tempo stesso la testimonianza che il giovane Max è morto in quel campo, dove ha lasciato se stesso.
Sicuramente questa storia permette di vedere in modo diverso uno dei villans più celebri Marvel. Sembra infatti che quel giovane ragazzo, coraggioso, vittima di tali atrocità si sia trasformato da vittima a carnefice. Da un lato ci permette di capire la dualità che fa oscillare nei racconti Marvel il personaggio di Magneto dal lato buono a quello cattivo, dall'altro ci pone di fronte ad più grande interrogativo: come può Max, dopo aver subito la discriminazione raziale, fare di questa la sua ragione di vita. Il signore del magnetismo infatti pone la sua "razza superiore", quella dei mutanti, sopra quella umana che vuole ditruggere. A mio parere Max muore in quel campo, insieme agli orrori e alle sue azioni. Erik si ritrova all'interno di una minoranza, speciale, "quel chiodo più alto", per citare il suo professore di scuola. Questa volta però egli ha già visto cosa la gente fa ai chiodi più alti, li schiaccia e ditrugge ed è questa paura, che viene dal suo passato, a trasformarlo ed a portarlo dall'altra parte, quella dei carnefici.