Per quanto uno si sforzi di rimanere piantato coi piedi saldi all'obiettività e alla difficile accettazione del fatto che, nel momento in cui ci mettiamo a scrivere, i gusti personali debbano restare fuori, l'impresa è piuttosto complicata. Non ci credo alla critica fiscale, quella che non fa nemmeno uno strappo alla regola. E poi perché regole...qui parliamo di Arte, e nella mia concezione di Arte tutto è concesso e niente è proibito.
Premesso ciò (colei che scrive si deve pur tutelare in qualche modo, no?), parliamo dell'ultimo film di Ferzan Ozpetek, Magnifica presenza. Addirittura qui fioccano candidature e riconoscimenti da ogni dove, ben otto ai David di Donatello e nove ai Nastri d'argento. Ma gli elogi troppo ufficiosi a noi non convincono, io lo dico sempre...Come il film stesso, anche la storia di Pietro/Elio Germano, è ambientata nel 2012. A far da sfondo la Roma di oggi, nello storico quartiere di Monteverde alto. Una casa da riassestare un po' e un sogno nel cassetto, quello di diventare un attore. Questo spinge Pietro a lasciare la sua Sicilia per avventurarsi nella capitale. Insieme alla cugina, Maria/Paola Minaccioni,il giovane inizia ad ambientarsi nella nuova città, trovando lavoro in una pasticceria e godendo gli attimi di solitudine davanti a un album di figurine storiche.
Il film cerca di dirci fin da subito chi è Pietro, una persona sensibile, con difficoltà a relazionarsi al prossimo soprattutto se questi è un uomo. Non è la solita commedia drammatica, perché la normalità del genere viene stravolta da una insolita presenza nella casa di Pietro. A metà strada tra il film in costume/storico e quell'horror più blando, psicologico, Ozpetek tenta di mescolare la vita del protagonista con quella di una compagnia teatrale vissuta durante la Seconda Guerra Mondiale. Ci piace l'idea, ci piace persino questa sottile sovrapposizione dei fantasmi che abitano in casa e quelli che dimorano invece nell'anima di Pietro. Non per niente anche lui fissato con il teatro e dotato di una grande sensibilità che, probabilmente, gli dà il modo di interagire con queste ombre del passato. Il tutto agli altri sfugge, dunque il film è quanto di più introspettivo e personale si possa raccontare. Però qualcosa in tutto questo affresco sembra non andare, c'è la sensazione del "capolavoro" mancato. Perché l'idea di ispirarsi a Pirandello e ai suoi Sei personaggi in cerca d'autore è molto interessante. Come è stato ben gradito, almeno per quanto mi riguarda, quanto esposto prima e dunque l'impronta onirica e storica data alla pellicola.
Non mi va giù però l'idea di prendere tutto questo e frantumarlo letteralmente, volendo così ostinatamente incanalare la storia sulla solita via imboccata per l'ennesima volta. Mi spiego: c'era davvero bisogno che Pietro fosse omosessuale per fare di lui, quella magnifica presenza alla quale tu regista, aspiravi ad ogni costo? Era necessario riempire il film con tasselli incomprensibili e dei quali avremmo fatto volentieri a meno? Mi viene in mente la presenza di Mauro Coruzzi in arte Platinette, per dine una. Oppure penso a un'attrice che fino a qualche anno fa ammiravo molto e oggi sta cambiando qualcosa. C'è davvero bisogno che Margherita Buy faccia la depressa svampita in ogni film faccia? Io non credo.
Così come non credo che si debba intendere il cinema come unico e insostituibile mezzo, per esorcizzare le proprie ossessioni, le proprie debolezze. Anche, per carità. Il cinema arriva laddove il resto nemmeno può immaginare. Ma attenzione a non abusarne...L'omosessualità dichiarata di Ozpetek rischia di annientare e far scivolare nella ripetitività la filmografia del regista. Capita allora che qualcuno, come me, non recepisce più nulla da questi film che sembrano doppioni reimpastati e sfornati, solamente con colori diversi ma la sostanza poi, assaporando, è la stessa. Non cambia. Quel che fa più male è vedere un grande attore come Germano, perdersi in queste debolezze del regista che lo ha diretto. Forse la sola, unica, magnifica presenza è lui, ma non certo nella sua performance migliore.