Siamo in un piccolo paese della Pennsylvania come ce ne sono tanti nella provincia americana – di quelli dove tutti si conoscono e in cui è facile che un evento diventi straordinario – agli inizi del 2001. Ambrose Young, giovane campione e grande talento del wrestling, è la gioia della squadra scolastica, del padre adottivo – che sposò la madre ben
Certo è consapevole di tutto ciò che madre natura gli ha fornito così generosamente, ma ora, a diciott’anni, è diventato insofferente all’immagine che tutti hanno di lui e soprattutto a quello che tutti si aspettano da lui. Si chiede, Ambrose, se c’è qualcosa che può fare solo per sé, qualcosa che lo definisca come uomo e che lo affranchi dall’inconscia necessità di compiacere suo padre – cui deve tutto – e gli altri che hanno sempre guardato a lui come un esempio.
E col cuore in tumulto a lui guarda anche la sensibile e generosa Fern che ne è innamorata fin da bambina, seppur consapevole di non essere all’altezza, di non essere ricambiata. Lei col suo apparecchio ortodontico e i capelli rossi disordinati, con le sue forme appena abbozzate, incantata dalle storie romantiche. Fern vive in simbiosi con suo cugino Bailey, una creatura vitale e brillante, nonostante la distrofia di Duchenne abbia già fissato il suo breve passaggio in questa vita. Così, quando la sua prorompente migliore amica Rita le chiede di scrivere per lei delle lettere indirizzate ad Ambrose per conquistarlo, Fern anche se riluttante e ferita, accetta.
Purtroppo, il confronto tra Fern e Ambrose non è quello che sarebbe avvenuto nei libri romantici cari alla ragazza. Non c’è nessun bacio appassionato a suggellare quella scoperta perché la vera bellezza per essere capita ha bisogno di tempo. Ambrose, pur turbato e confuso non è ancora pronto a guardare oltre “la confezione”, a subire lo sfottò degli amici, a riconoscere un sentimento verso qualcuno che gli altri non ritengono abbastanza per l’immagine cha hanno di lui. Sarebbe come deludere tutti. E Ambrose non vuole mai deludere nessuno. Perciò sceglie la via più semplice: delude Fern.
E’ da poco passato l’11 settembre col suo carico luttuoso che grava sulla popolazione, quando l’inquietudine e la sensazione di incompletezza di Ambrose lo portano a prendere una decisione che cambierà lui e l’intera comunità: decide di arruolarsi. Il ragazzo trascina con sé i suoi pur non convintissimi amici che però lo assecondano, fiduciosi, abbagliati dalla sua innata e indiscussa leadership. Non si rende conto, Ambrose, che questa non sarà l’ennesima avventura da condividere, che i racconti e le foto sugli opuscoli dell’esercito sono ben altra cosa rispetto alla rabbia vera che dovrà affrontare, che “caduti” non è una parola vuota, impersonale e lontana. Quando un attentato fa saltare i mezzi cingolati su cui lui e i suoi amici viaggiavano, uccidendo tutti, quella parola diventa orribilmente concreta e si carica di un senso di colpa indelebile perché l’unico sopravvissuto, anche se sfigurato e devastato dalle ustioni, è Ambrose.
Dopo circa un anno e mezzo dalla sua partenza, torna a casa. Non è più lo stesso, ovvio, né fuori – senza un occhio, un orecchio, ha tutto un lato del viso e del corpo segnati da orribili cicatrici – né soprattutto dentro.
Ambrose vuole le sue cicatrici, sente di meritarle, sono il memento del suo egoismo e delle sue azioni sconsiderate, sono la punizione per aver deciso della vita di altri, sono la prova dell’inesistenza di Dio. E’ spezzato Ambrose, arrabbiato, disperato durante le sue notti solitarie. Ma è durante una di quelle notti che il suo cammino incrocia nuovamente quello di Fern e forse, da quel momento, una speranza tornerà ad esserci…
Questo è un libro doloroso che affronta la perdita in tutte le sue accezioni: la perdita dei punti di riferimento che rendono la nostra vita sicura, la perdita della stima di sé, la perdita, reale e orrorifica della vita, dell’amicizia. La perdita della fede, la prima cosa che viene a mancare quando non troviamo risposte ai terremoti della vita.
Vi si parla di coraggio e della sua mancanza, di quanto sia complicato affrontare i propri sentimenti quando cozzano con una realtà che non siamo in grado di sostenere.
Il coraggio manca a Rita: nonostante sappia che il suo cuore appartiene a Bailey, non ce la fa a investire una parte della sua vita con lui. Il coraggio invece riempie Bailey che, proprio perché sa di essere “a termine”, decide di vivere i sentimenti fino in fondo, con passione.
Ma la Harmon parla anche di speranza, del valore immenso delle piccole cose che, solo chi è consapevole di non poterle avere a lungo riesce ad apprezzare, dell’importanza di vedere ciò che è sta sotto “alla confezione” perché spesso “la bellezza può essere un deterrente all’amore: ci innamoriamo di una faccia e non di quello che nasconde”.
Con penna delicata e sensibile, la scrittrice non indulge mai nella pietà o nella facile commozione e ci regala dei personaggi sfaccettati, interessanti e pieni di conflitti, senza lesinare sui caratteri secondari, soprattutto sulle figure paterne, davvero notevoli.
Making Faces è stato paragonato ad una moderna versione della Bella e la bestia,
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I lettori italiani potranno conoscere Amy Harmon in primavera quando la Newton Compton pubblicherà A Different Blue (I cento colori del blu), suo romanzo precedente, sperando che anche Making Faces venga presto acquistato e tradotto.