Mal di terra

Da Ignominia
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nè di mal d'auto, bus o di mal di mare, ma di mal di terra sì che soffro.
E chi lo sapeva, non mi era mai capitato in questo modo. Seppure fossi stata altre volte in barca, dormendoci come stavolta, persino scendendo meno a terra di come ho fatto. Le due ore di passeggiata fatte sulla spiaggia avrebbero dovuto stabilizzare la coclea, quell'ossicino dell'orecchio a forma di  guscio di lumaca che è responsabile del nostro equilibrio.  Invece no.
Sarà stata colpa di tutte le schifezze per l'allergia, che sto prendendo o che il mio corpo sta cambiando per l'età. Fatto sta che Lunedì mi girava la testa come una trottola e avevo anche un bel po' di nausea. Bell'affare. Ma partiamo dall'inizi: lo scorso weekend sono andata a Lido di Camaiore con un'amica che voleva vedere un concerto - a me non interessava per cui lasciata lei in prima fila sono andata  subito ad infilare i piedi nell'acqua, calda come un brodetto di pesce. Ma era acqua di mare e seppure di Versilia, neanche noi snob del mare ci si sputa sopra. Su e giù sulla battigia a vedere i kite surfers che appesi al filo si facevano trascinare sulle ondine Mediterranee... buffo dopo aver visto i surfers in Hawaii e in California cavalcare onde enormi... ma uno fa con quello che ha, no? 
Poi un po' zingara con i piedi sabbiosi e i pantaloni bagnati (of course) a passeggio sul lungo mare fra baracchini che vendevano chincaglierie varie per quelli che, in vacanza, hanno soldi che bruciano nelle tasche:  caldi caldi che prima li spendi tutti meglio stai. Un gran via vai di gente ancor prima di cena, che si è andato via via infittendo con l'arrivo del buio. Accertatami che l'amica non avesse bisogno di nulla, e avendo deciso che di cenare da sola ai prezzi da vacanza non se ne parlava nemmeno, mi sono comprata una birra carissima e trovato da sedere sullo scalino di una scultura che era nel bel mezzo della passeggiata. Ho tirato fuori la macchina fotografica, mi sono messa in cuffietta i Wilco e sono entrata nel groove della serata. La gente arrivava come le onde, a gruppi fitti che si diradavano  ritmicamente per poi infittirsi  di nuovo.  Ho iniziato a scattare con la macchina fra le ginocchia, senza guardare lo schermo salvo per accertarmi di tanto in tanto che fosse posizionato bene. Vedevo quelli che arrivavano e quando erano in un certo punto scattavo, decapitando volutamente le teste e inquadrando invece le panze, gli shorts, le gambette nude, i piedi, i cani e i passeggino con i bambini. Presto ho cominciato a percepire un ritmo, un rituale, una danza tribale o processione in omaggio agli dei delle ferie. E guardando lo scattato mi accorgevo che questo passatempo stava diventando fonte di immagini speciali, che avevo trovato una vena aurifera incredibile. I bambini in carrozzella erano gli unici complici, e se non proprio complici, le vittime partecipi e curiose che guardavano in camera, che mi squadravano un po' inquisitivi, un po' come per sfidarmi. Gli adulti, invece presi dal guardarsi e confrontarsi, dal parlare e gesticolare, dal volere e desiderare, passavano senza degnarmi di uno sguardo salvo la rara eccezione che mi guardava un po' dubbiosa, un po' chiedendosi : ma questa quà che fa, fotografa me? E perchè? Ero inesistente, invisibile, ero la statua dietro di me, bronzo o ferro distorto che si innalzava come la prua di una nave dietro la mia schiena, che fendeva le acque umane che arrivavano incessanti. Devo aver fotografato per un'ora, forse più, oltre 200 immagini. Pensavo che la bellezza che avevo visto  nel controllare le immagini scattate fosse solo l'effetto del'euforia da birra e musica,  da Sabato sera lal mare, da sola, libera, senza dovere niente a nessuno. Ma il giorno dopo, e quello dopo ancora le visioni a mente lucida hanno confermato la prima impressione. Io che non amo la gente, che non la fotografo, avevo trovato un modo di farlo. E avevo un progetto in mano, uno da poter presentare magari a Portfolio Italia 2010 di Settembre al Centro di Fotografia, chissà.
E poi quando era ormai ovvio che avevo esaurito la vena, in spiaggia a fotografare la luna, e poi a regalare un palloncino ad un bimbo che stava per fare le bizze, mettendo i poveri genitori in una situazione che non avevo previsto (uffa, ogni azione anche quella più disinteressata ha le sue inavvertite conseguenze) e alla fine del concerto un'altra birra stavolta in compagnia, due chiacchiere prima di rimettersi in macchina per arrivare alla barca alle 3 del mattino, dove saliti a bordo fare uno snack con schiacciata, salamino e formaggio e  poi via in cuccetta ad abituarsi al rollare incessante, al cigolio dalla gomena d'ancora e allo sciaguattio del mare. Laddove non ho dormito profondamente ma ad ogni risveglio realizzando dov'ero, ero felice.  

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