Un’antica leggenda pakistana racconta la storia di una guerriera, Malalai di Maiwand. Era figlia di un pastore, stava per sposarsi ma gli inglesi invasero il suo paese. Il padre e il futuro sposo si arruolarono, così anche lei li seguì per curare i feriti e portare acqua e armi ai combattenti. Un giorno in un luogo chiamato Maiwand, uno dei portabandiera fu ucciso, Malalai corse, si tolse il velo e lo usò come bandiera, dimostrando un’audacia che fece arrossire molti uomini che stavano per ritirarsi dalla battaglia. Malalai fu colpita e uccisa, ma il suo coraggio divenne leggenda. Stavolta la protagonista della nostra storia è un po’ più giovane, ha solo undici anni quando comincia a dare prova del suo ardimento, e il suo nome è sempre Malala. Ma la sua non è una leggenda: è la ragazzina dai grandi occhi nocciola di cui tutti abbiamo sentito parlare, visto che è stata la più giovane candidata al Premio Nobel per la pace di quest’anno ed è apparsa su tutte le televisioni e i giornali. Il perché di tanto “successo”, per chi non lo ricordasse, ha origine – ahimè – a causa dell’attentato subito da Malala dopo essersi ribellata pubblicamente all’imposizione talebana di proibire l’istruzione alle giovani donne. Ed è proprio sull’amore per la cultura che la giornalista del Corriere della Sera, Viviana Mazza, ha deciso di basare il suo Storia di Malala (Mondadori) con il supporto grafico di Paolo d’Altan, molto noto nel campo dell’editoria come illustratore di libri per ragazzi. Storia di Malala è infatti un libro per ragazzi (consigliato dagli 11 anni) perché racconta in maniera romanzata e in prima persona, quasi come fosse un diario, la vita della nostra eroina dal suo primo intervento sotto falso nome sul blog della BBC a testimonianza di ciò che le accadeva intorno, passando per l’attentato fino alla sua guarigione.
Con un linguaggio semplice e raffinato, Viviana Mazza è riuscita a ricreare l’universo quotidiano di un’adolescente alle prese con casa, famiglia e mondo esterno, un crudele mondo esterno che non rimane mai fuori ma ti entra nella testa e nel cuore per non uscirne più. La sua vita da studentessa ha infatti il sottofondo di bombe e pale di elicotteri che non smettono di sorvolare quella che era la pacifica valle di Swat dove Malala risiedeva con i suoi cari. Poco spazio alla commozione però, la protagonista non si arrende mai, è fiduciosa e crede realmente che tutto possa avere un epilogo positivo, anche adesso che vive a Birmingham in attesa che le acque si calmino e che la sua salute si ristabilisca. L’innocenza e la verità sono armi pulite che colpiscono i cuori più di una pallottola, ed è questo il messaggio che, attraverso la storia di Malala, l’autrice vuole diffondere. La libertà di ribellarsi ma soprattutto la voglia e la necessità di andare a scuola, il diritto di imparare non può che essere un monito e un insegnamento verso tutti quei ragazzini che vivono in zone del mondo più “fortunate” e lontane dai conflitti. La possibilità di accedere alla cultura e all’istruzione senza ostruzioni di alcun tipo è un diritto di tutti, ed è importante che i ragazzi lo comprendano e facciano di Malala un esempio da tenere in considerazione, soprattutto quando si lamentano perché non vogliono alzarsi presto la mattina. Un libro che dovrebbe obbligatoriamente essere letto in tutte le scuole per far capire agli adolescenti che il mondo non è così lontano come sembra dai TG.