Ho sempre avuto un piccolo debole per gli ospedali: le infermiere che ti chiedono come stai, il purè, la mela cotta, anche l’odore di disinfettante fetido non mi dispiace. Questa mia piccola perversione è diventata in Svizzera un vero e proprio piacere.
Una settimana fa mi sono fatto male ad un dito facendo arrampicata. Visto che si tratta di un “incidente”, la mia assicurazione lavorativa copre l’intero costo e quindi mi sono permesso il lusso di andare alla clinica del comitato olimpico svizzero in cui avevo già fatto un test fisico sotto sforzo (l’importante non è essere atleti, ma fare finta).
Ho chiamato la sera e mi hanno dato appuntamento per la mattina seguente, prenotando le lastre alle 7.30 e poi la visita dal medico. Mi sono presentato alla clinica alle 7.15, ricevendo il benvenuto della donna alla reception, che mi ha indicato con un sorriso il reparto di radiologia: una sala d’aspetto tirata a lucido, con le riviste esposte sul tavolino e avvolta in un silenzio tombale. Alle 7.20 mi hanno fatto entrare e mi hanno fatto le lastre. Dieci minuti dopo ero nella sala d’attesa dell’ambulatorio.
Un medico il cui cognome era composto da molte “s”, “c” e “h” mi ha visitato, forato un’unghia e tolto l’ematoma. Poi mi ha portato dalla responsabile del reparto fisioterapia che mi ha confezionato un tutore in plastica seduta stante e mi ha riempito di rotoli di scotch speciale per dita doloranti con unghie a rischio caduta.
Alle 8.30 mi stavo già comprando dei croissant al panificio di fronte alla fermata del tram.