di Carlo Camboni
C’erano una volta due regni vicini e l’uno era il peggior nemico dell’altro. Maleficent potrebbe essere stato re-immaginato in un Universo parallelo da alieni in vena di eccentricità che piuttosto che invaderci e annientarci decidono di essere ben più perfidi e crudeli e così interpretano disinvoltamente la fiaba della Bella Addormentata nel bosco, facendo finta di scordarsi che noi umani siamo ancora affezionati alla chiara e netta distinzione tra Bene e Male perché non riusciamo mai a stabilirne i limiti, come se il male non ci appartenesse, fosse altro rispetto a noi. Ora, possiamo affermare, innanzi a ciò che resta della memoria di Walter Elias Disney, che rileggere o addirittura riscrivere le fiabe o i grandi classici disneyani è una moda. Sia chiaro: l’ondata revisionista di remake prodotta o da produrre sta regalando grandi soddisfazioni al botteghino; inoltre entusiasma gli spettatori di tutto il mondo ed ha l’indubbio merito di aver attirato fior di sceneggiatori e registi incuriositi dal mettere le mani nella pasta della grande letteratura; ma (e c’è sempre un ma) nella lievitazione dei costi di Maleficent la riscrittura del racconto ha generato uno di quei giocattoli hollywoodiani che potremmo definire, come si usa in Nord America, overproduced, un prodotto dalla confezione impeccabile ma dal contenuto incerto e lontano in quanto frutto di un lavoro d’equipe concentrato sul controllo minuzioso di ogni fotogramma al fine di soddisfare ed assecondare le esigenze del pubblico pagante senza disturbare troppo il grande sonno dei neuroni degli spettatori. È Hollywood, dopotutto! La sceneggiatura, vero punto debole del film, vorrebbe o dovrebbe indagare la profondità dell’origine del male in Malefica, che subisce un torto e un tradimento d’amore dall’amato Stefano trasformandosi così da buona e amorevole fata in armonia con l’universo e la natura del regno di Brughiera in cattiva ma non troppo, vendicativa ma forse no e via così con le ambiguità caratteriali. Cosa o chi si cela nei cuori induriti dai tradimenti, ammesso che possa interessarci un’indagine sul male disneyano dei cattivi di turno che riversano la loro malvagità sulle esistenze altrui? Si narra che la regia sia dell’esperto, in quanto tecnico sopraffino, Robert Stromberg, che è bravo quanto basta, ma l’abbandono tranchant di Tim Burton, che avrebbe forse spinto l’acceleratore puntando sulla favola gotica, la dice lunga sulle macchinazioni di una produzione in pompa magna da grande industria del cinema con pochi spazi per le idee e l’immaginazione.
Il risultato è ambiguo ma potente e il merito salvifico si deve alla presenza in scena della Dea Angelina Jolie che con autoironia e un pizzico di compiacimento mette in gioco la sua immagine e i suoi mitici zigomi resi dai truccatori meno che umani una volta di più: la spettrale magrezza della diva è nascosta da un mantello, la pelle del viso è levigatissima, gli occhi resi più luminosi da due lenti a contatto di colore indefinito, le ciglia sono le più lunghe che si siano mai viste, le orecchie a punta le stanno da dea e delle bellissime corna spuntano dal cranio fasciate dalla pelle di un pitone, forse due. Una Grace Jones candida come la neve, emaciata e pericolosa. Iconica, sì. E siccome ogni scena madre che si rispetti deve generare imbarazzo e raccapriccio, è proprio con questo look e una mise in total black che Malefica altèra ed artefatta si presenta, non invitata, alla cerimonia del battesimo di Aurora, accompagnata da Fosco, un corvo nero, tanto per gradire, recitando sopra milioni di righe un ingresso plateale innanzi ad invitati accorsi da ogni parte del regno degli umani, sbattendo tre svenevoli fate in un sarcofago con un gesto impercettibile della mano e gridando il maleficio contro Aurora, figlia di Stefano: quando la ragazza compirà il 16° anno cadrà in un sonno profondissimo e potrà essere risvegliata solamente dal “bacio del vero amore”. Non è bellissimo? Una Femmina, una strega pre-rinascimentale dall’eleganza gotica, dispone del destino altrui ed ha più potere dei maschi, insignificanti e inetti in tutto il film: un manifesto dadaista, altro che Grimm e Perrault! Incantato da cotanta eroina femminile, posso serenamente affermare che il film contiene una scena a dir poco commovente, l’incontro tra la Bella non ancora Addormentata e il Principe Azzurro che si deve dare una svegliata: scena girata con tale sapienza e delicatezza che ha ridestato – ebbene sì – una parte remotissima del mio cervello, quella in cui da bambino avevo riposto e immaginato esattamente così questo incontro fiabesco! Ah, il potere liberatorio di questi maghi di Hollywood!
Sul simbolismo sessuale del taglio delle ali alla Malefica (che tanto ha fatto discutere i critici americani ossessionati dalla femminilità della Jolie) non mi soffermerei, ma la scena del risveglio senza ali, recitata molto bene, è la più traumatizzante vista in un film Disney, un momento decisivo eppure sconcertante senza il quale non si capirebbero le azioni successive del personaggio, proprio quelle che generano la confusione tra bene e male, mai così pericolosamente indistinti. Sarà il tempo a decretare se questo film diventerà un altro grande classico come il suo predecessore animato; al momento devo sottolineare la prova della Jolie, vera regina di tutti i risentimenti che aveva un arduo compito, rendere umano e fatato un personaggio animato cercando di restituire la complessità dell’animo di un eroe cattivo, un ossimoro. La morale della favola aliena è che non c’è amore più vero dell’odio circonfuso d’amore.
Carlo Camboni
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Cover Amedit n° 20 – Settembre 2014, “VE LO DO IO” by Iano
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