Mama Karanga: la vita di una trasformatrice artigianale e rivenditrice di pesce

Da Castprogetti

Una tipica trasformatrice artigianale di pesce è una persona che vive una vita piuttosto difficile e movimentata.
Il termine “trasformatrice di pesce” è forse ampolloso se non addirittura ambiguo considerato il semplice e alquanto diffuso metodo di trasformazione del pesce che queste donne utilizzano. In effetti, la maggior parte delle donne vengono chiamate mama karanga – donna che frigge, nome che deriva dal loro caratteristico pesce fritto, piuttosto comune sulle strade delle cittadine costiere, specialmente nelle ore serali.
Prima che il pesce raggiunga la zona di mercato nel tardo pomeriggio – sera, una dura giornata ha inizio con un “breve viaggio” verso la più vicina zona di attracco dei pescatori – ciò avviene talvolta alle 4 del mattino. Questo “viaggio” ha un chiaro obiettivo che è comprare tanto pesce quanto si riesce a friggerne e venderne.
Una volta raggiunto il punto di attracco dei pescatori, l’attesa per il pesce può essere anche molto lunga – talvolta oltre le sei ore! L’attesa non offre garanzie in quanto tutto dipende da come è andata la battuta di pesca che in loco è praticata dai pescatori in modo artigianale e su piccola scala. Nei giorni peggiori dell’anno, che spesso cadono nei mesi di Maggio, Giugno, Luglio, Agosto e Settembre, le donne ripartono dai landing site con le bacinelle vuote. Succede che nelle giornate di scarsa pesca, le donne siano costrette ad acquistare il pesce nelle pescherie quale seconda migliore opzione. Nei negozi il pesce è venduto a un prezzo più alto, riducendo i margini del loro profitto.
Dopo l’acquisto di pesce presso le pescherie o i siti di attracco, la mama karanga passa alla fase successiva della sua movimentata attività. Questa seconda fase avviene per lo più nelle in case dove il pesce è fritto. La frittura del pesce non è attività per chi è soggetto a facili svenimenti. Si tratta di una prolissa esposizione al calore e grande abilità nel maneggiare dell’olio bollente che spesso non perde occasione per schizzare sulle instancabili lavoratrici keniote.
A volte, le donne capiscono solo troppo tardi che il pesce acquistato in fretta e furia è completamente andato a male o comunque non del tutto buono. In questi casi, lo seccano al sole e lo vendono come prodotto essiccato. Si tratta di una lavorazione che in gergo locale è definita kufanya ng’onda.
La maggior parte delle donne preferiscono un buon mix di differenti specie di pesce da vendere. La loro clientela è spesso molto sensibile al prezzo; sono gli abitanti di quartieri poveri, selettivi e imprevedibili sul tipo di pesce che vogliono comprare ogni giorno. Per questo motivo, le mama karanga preparano il pesce tagliato in pezzi; da un pesce intero si ricavano per lo più tre pezzi. Solo i pesci molto piccoli sono venduti interi. In questo modo, i clienti abituali riescono a far fronte al costo. Questi prodotti sono impacchettati in scatolette di legno o avvolti in carta di giornale, poi venduti agli angoli delle strade. Capita che la mama karanga si trattenga a vendere fino alle 11 di sera.
In una buona giornata, può guadagnare fino a un migliaio di scellini (10 euro circa), ma di solito molto meno. Queste buone giornate capitano ironicamente proprio nei giorni in cui l’acquisto del pesce è stato particolarmente difficoltoso, a differenza dell’alta stagione quando il pesce è disponibile in grande quantità.
L’alta stagione della pesca riduce drasticamente le vendite della mama karanga per via della maggiore offerta di pesce.
Gli intrighi di questo affare sono molti, e proverò a condividerli un po’ alla volta nei prossimi giorni. Non solo per interesse, ma per rivelare le molteplici opportunità di programmazione che gli attori di sviluppo possono identificare.

 Abraham Wangila
Esperto in filiera del pesce – Staff Cast Kenya


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