Mamma Roma

Creato il 16 gennaio 2016 da Nehovistecose

Regia di Pier Paolo Pasolini

con Anna Magnani (Mamma Roma) Ettore Garofolo (Ettore), Franco Citti (Carmine), Silvana Corsini (Bruna), Luisa Loiano (Biancofiore), Paolo Volponi (il Prete), Luciano Gonini (Zaccaria), Vittorio La Paglia (il signor Pellissier), Piero Morgia (Piero), Franco Ceccarelli (Carletto), Marcello Sorrentino (Tonino), Sandro Meschino (Pasquale)

PAESE: Italia 1962
GENERE: Drammatico
DURATA: 102′

Quando il suo pappone si sposa, la prostituta Mamma Roma si ritira dalla strada e accoglie a vivere con se, in un appartamento dei sobborghi romani, il figlio sedicenne Ettore. Con tutti i mezzi possibili tenta di innalzarlo dalla sua misera condizione di sottoproletario, ma il ritorno del suo pappone e la totale mancanza di prospettive farà finire i suoi sogni in tragedia…

Come il precedente Accattone (1961), Mamma Roma offre uno spietato ma preciso ritratto del sottoproletariato italiano del dopoguerra, incapace di innalzarsi dalla propria mediocre condizione, la cui miseria genera solo altra miseria e l’unica grandezza possibile è nella morte. Mamma Roma usa, per elevare la condizione del figlio, gli stessi metodi che usa l’odiata borghesia (inganni, corruzione); la sua colpa, tuttavia, è atavica, indiretta, frutto delle scelte dei poteri forti di cui nemmeno conosce l’esistenza e che la vogliono sguazzante, oltre che nella miseria, in una sonnacchiosa ignoranza. Film verista (a Ettore l’abito “buono” sta male, non è adatto a lui) più vicino al primo Rosi (La sfida) che al neorealismo, di cui resta qualche brandello soltanto nella scelta degli attori di strada; non nello stile, che è onirico, fantastico (le scene notturne in piano sequenza), molto moderno nel suo essere privo di dissolvenze e classici campi/controcampi, pieno di vertiginose carrellate in avanti verso il DENTRO dei luoghi e di espressivi sguardi in macchina.

E anche denso di riferimenti pittorici (qualcuno, riferendosi alla fotografia di Tonino Delli Colli, la definì “caravaggiesca”), dei quali il più celebre è quello finale: inquadrando il cadavere di Ettore più e più volte come il Cristo del Mantegna, P. proietta il sacrificio di Cristo nel sacrificio quotidiano dei miseri e dei perdenti. Ognuno ha la sua passione, sembra dirci: un parallelismo molto audace che non piacque alla politica e che portò al film parecchie grane censorie. Importante dimensione architettonica: ieratica ma squallida, l’architettura dei sobborghi romani si vede sullo sfondo e stona con quella delle rovine in cui Ettore cammina, così come lo stesso Ettore stona con un’idea di vita lunga e dignitosa. Film di ossimori e parallelismi, più denso di significati ma forse anche più armonico di Accattone. Grande prova della Magnani, poco a suo agio con la vecchiaia (lo raccontò lo stesso Pasolini) ma perfetta nella sua imperfezione. Musiche da Vivaldi. Imperdibile.



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