“Man of Steel” di Zack Snyder: il rilancio di Superman al cinema

Creato il 25 giugno 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Cinematograficamente parlando, fin dal 1978 l’ombra del Superman di Richard Donner si è stagliata imponente sulle produzioni basate sul supereroe DC Comics, schiacciandone in partenza tutte le potenzialità. Uno degli esempi più fulgidi è certamente il Superman Returns di Bryan Singer, che, appena sette anni fa, tentò di rilanciare sul grande schermo l’uomo del domani con una pellicola troppo debitrice del kolossal interpretato da Christopher Reeve, trasformando il tutto in un giocattolone citazionista noioso e senz’anima.

Era qundi ovvio che la Warner Bros., anche sulla scia del successo ottenuto dalla trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, ritentasse la carta Superman, cercando di ridare vigore e forza al personaggio ricostruendone le fondamenta cinematografiche, debilitate e cedevoli dopo più di 30 anni di incertezze, ma desideroso di una nuova chance. Da questo punto di vista, il Man of Steel di Zack Snyder ha centrato pienamente l’obiettivo, puntando su un film in cui il centro della storia fossero le origini del personaggio e la percezione della sua natura aliena, non solo da parte di se stesso ma anche di coloro che lo circondano.

È in questo contesto che sta la forza della pellicola, non esente ovviamente da molti difetti, in cui la sceneggiatura di David S. Goyer puntella con numerosi flashback (mai eccessivi) la personalità, mostrando prima il bambino, poi l’asdolescente e infine l’uomo adulto, votato alla ricerca e all’accettazione del proprio ruolo. È questa la parte più interessante del film, sospinto anche dalla saggezza di un Jonathan Kent (un ottimo Kevin Costner), mai così ben delineato sullo schermo come bussola morale del protagonista.

Un protagonista che vede in Henry Cavill finalmente un ottimo Superman che ha il dono della parola, a differenza del precedente e troppo silenzioso Brandon Routh, e capace di costruire una interpretazione che riesce a donare una personalità completa al personaggio di Kal-El/Clark Kent. A fare da antagonista è il generale Zod di Michael Shannon, un villain tutto d’un pezzo le cui motivazioni ideologico/militari ne fanno un avversario inflessibile fino alla drammatica conclusione.

A convincere di meno è la Lois Lane di Amy Adams, personaggio troppo importante che non viene caratterizzato a dovere, facendone la solita reporter d’assalto monodimensionale. Nonostante in più di una occasione sia palese il tentativo di trasformarla nella valvola di sfogo del protagonista, soprattutto per quanto riguarda l’accettazione della sua natura aliena, il tutto viene solamente accennato e mai approfondito, complici anche alcune dialoghi davvero banali messi in bocca alla giornalista in più di una occasione.

Promozione a pieni voti anche per il Jor-El di Russell Crowe, che riesce a infondere una caratterizzazione decisa al personaggio, solamente abbozzata in precedenti incarnazioni. Man of Steel è quindi una reinvenzione riuscita dell’eroe venuto da Krypton, che come già sottolineato presenta alcuni difetti, come alcune delle tematiche seminate nel corso del film, molte delle quali avrebbero meritato una maggiore analisi, ad esempio la natura eugenetica dei kryptoniani.

Mentre in alcuni frangenti, soprattutto all’inizio, si possono percepire evidenti tagli apportati in sala di montaggio, si veda il troppo frenetico prologo sul morente pianeta Kryptoniano. Anche la spettacolarità della imponente battaglia finale, forse una delle migliori per quanto riguarda un film tratto da un fumetto, troppe volte eccede in una orgasmica follia distruttiva degna del peggior Transformers.

Difetti che comunque non ledono una pellicola che si conferma un ottimo rilancio (ed era ora) per Superman al cinema, e il cui sequel potrà confermarne o meno le potenzialità già dimostrate in questo primo capitolo.

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