Anno: 2013
Durata: 105'
La trama (con parole mie): Mark Donaka, miliardario appassionato di scontri di arti marziali e di violenza, finanzia un campione al quale chiede di difendere la propria vita contro sfidanti sempre più forti vendendo il tutto come un prodotto per un'elite annoiata di uomini ricchi ed influenti come lui. Scoperto per caso nel corso di un torneo l'aspirante Maestro di Tai Chi Tiger Chen, Donaka decide di farne il nuovo volto del suo personale giocattolo, spingendolo sempre di più verso il lato oscuro grazie a soldi, sicurezza e combattimento: Tiger, influenzato anche dalle necessità del suo Maestro e dalla situazione economica del tempio che lo ospita, finisce dunque per lasciarsi coinvolgere sempre di più nel nuovo ruolo di simbolo di questo circolo di lotta segreto, sconfiggendo uno sfidante dopo l'altro.
Quando, però, la parte "malvagia" del suo Tai Chi e del suo carattere viene a galla, Tiger scoprirà che il nemico più temibile con il quale dovrà confrontarsi sarà se stesso.
I film di botte - specialmente quelli di arti marziali - sono stati uno dei pilastri della mia formazione di tamarro e cinefilo, per quanto le due cose possano - solo superficialmente - apparire clamorosamente spaiate: con il passare degli anni - e soprattutto, lasciato alle spalle il periodo radical chic della mia esistenza di spettatore -, ho rivalutato questo tipo di prodotti godendomi sia le parentesi più autoriali del genere - The Raid e The Raid 2 su tutte -, i classici intramontabili - Kickboxer o Senza esclusione di colpi - e le nuove chicche figlie del credo dei calci rotanti come questo Man of Tai Chi, pellicola interpretata e soprattutto girata da un Keanu Reeves nell'insolita veste del villain che mescola atmosfere ed un cast interamente orientali ad una produzione tipicamente figlia del larger than life a stelle e strisce.
Il risultato è stato clamorosamente ben inquadrato da Julez nel corso della visione, grazie ad uno dei commenti più illuminati che si potessero esprimere rispetto al Cinema di botte: "i film di questo tipo sono come i porno: una storia risibile e raccordi che speri finiscano il più presto possibile per vedere il combattimento successivo".
Probabilmente neppure con una benedizione di Jean Claude Van Damme in persona sarei riuscito a definire meglio il tripudio di goduria che è, di fatto, questo tipo di prodotto, nato per esigenze principalmente ludiche, impreziosito dalle esibizioni dei talenti messi in campo - sorprendente il pur ridicolo, almeno nella capigliatura, Tiger Chen, e da urlo per gli appassionati il pur breve confronto con l'Iko Uwais dei due già citati The Raid nel finale, così come il duello con lo stesso Reaves, che sfoggia un parco mosse decisamente tosto per un attore ormai cinquantenne, per quanto invecchiato bene come lui - e certamente subordinato a sceneggiature che non hanno il dovere di mostrarsi rispettose di logica ed affini.
Nonostante l'ovvia pochezza dello script, comunque, Man of Tai Chi non disdegna di mescolare nel suo cocktail anche una certa ricerca di approfondimento legata al confronto con il "Lato oscuro" del protagonista, sfruttato alla grande anche rispetto alla scelta dei Tai Chi, da sempre disciplina più legata alla meditazione ed all'esibizione che non al combattimento vero e proprio: il percorso di Tiger, conquistato progressivamente dalla possibilità di sfogarsi e liberare tutte le sue energie in battaglia ed avere dai risultati un riscontro in termini di fama e denaro che nella vita di tutti i giorni non ha mai potuto assaporare risulta quantomeno interessante, e seppur clamorosamente derivativa - qualcuno ha detto Guerre Stellari!? - la questione legata al "Lato Oscuro della Forza" è da sempre una tematica che tocca ognuno di noi, in misura più o meno sentita.
Se, però, il meccanismo legato alla corruzione dell'anima del "campione del Bene" trova un senso, ne ha meno l'intera parte legata alle indagini della polizia su Donaka - che paiono effettivamente un riempitivo sfruttato per evitare un minutaggio eccessivamente basso -, colpevole con i suoi non sempre interessanti sviluppi di togliere minuti preziosi alle esibizioni non solo del main charachter in battaglia, ma anche dei numerosi e decisamente differenti - per stile e fisicità - combattenti chiamati a raccolta da Keanu Reeves.
Probabilmente, se si fosse spinto maggiormente sulla componente tournament in pieno stile Mortal Kombat, Tekken o Senza esclusione di colpi i fan hardcore di questi prodotti avrebbero potuto quasi gridare al miracolo, mentre il risultato è "solo" quello di un prodotto che stimola l'amarcord di chi, per l'appunto, con tutto quello che è esistito da Bruce Lee in avanti è cresciuto.
Un plauso, ad ogni modo, al coraggio del buon, vecchio Keanu ci sta tutto: un esperimento di questo genere, infatti, non sarebbe stato da tutti, ed averlo proposto significa quantomeno che il protagonista del recente - e spassosissimo - John Wick adora i film di arti marziali e botte almeno quanto il sottoscritto.
E dunque, qui al Saloon c'è una serata offerta dalla casa per ubriacarsi allo sfinimento che porta già il suo nome.
MrFord
"Fear of the dark,fear of the dark
I have constant fear that something's always near
fear of the dark,fear of the dark
I have a phobia that someone's always there."Iron Maiden - "Fear of the dark" -