Mandami Tanta Vita: il Coraggio di Difendere le Proprie Idee

Creato il 17 ottobre 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Vittoria Averni17 ottobre 2013

Una delle cose che solitamente mi invoglia a leggere un libro è il titolo: quelle parole concise, lapidarie rappresentano il la, la nota d’avvio da cui si snoderà poi la vicenda narrata. E quasi sempre i titoli che da subito mi hanno colpito, hanno rivelato storie memorabili e incredibili, di quelle che porterò dentro a lungo. In realtà, con l’ultimo lavoro di Paolo Di Paolo, edito da Feltrinelli, non è andata così: Mandami tanta vita a primo impatto non aveva destato la mia curiosità. Avevo trovato il titolo un tantino ridondante, pesante e l’avevo cominciato a leggere (lo ammetto!) con un po’ di pregiudizi, aspettandomi la solita storia romantica, stucchevole, da letteratura rosa. Ma per fortuna non è così. Man mano che proseguivo nella lettura mi son fatta sempre più coinvolgere dalla trama in cui si intrecciano le esistenze di Moraldo e del giornalista antifascista Piero Gobetti. Moraldo che l’ha incontrato all’Università di Torino, lo ammira da lontano e sogna di poter collaborare col suo giornale, di incontrarlo, di diventarne amico. Piero invece sta andando a Parigi, lasciando a Torino la sua amata Ada e il Pussin, il loro bambino nato da poco, per inseguire nuovi progetti in uno stato di febbrile eccitazione mista a nostalgia. Nell’atmosfera di ansia, iperattività dell’Italia degli anni ’20, Di Paolo narra con uno stile elegante e avvincente una storia dolce, ma assolutamente non sdolcinata, che partendo dai sogni e desideri di due giovani si snoda in riflessioni profonde, ma affrontate con una leggerezza che pochi sanno avere. Questi momenti di pausa si alternano a quelli d’azione creando un equilibrio, un’armonia che lega sempre più il lettore al romanzo, ai suoi protagonisti, parteggiando ora per uno, ora per l’altro, guardando con i loro occhi ora il paesaggio di Torino, ora le rues di Parigi. Tra i vari temi che l’autore affronta c’è la gioventù, la smania di vivere di Moraldo, che cerca quasi ossessivamente di fare qualcosa che lo definisca, che lo rappresenti, che possa essere la sua ancora e il suo vanto, qualcosa da mostrare con orgoglio al padre. Dall’altro lato, quasi in contrapposizione, c’è la debolezza fisica di Piero, la malattia non affrontata mai direttamente, vissuta come un accadimento temporaneo non previsto. «Ammalarsi non è che una nostra distrazione, un cedimento. Se stessimo sempre all’erta, se non ci distraessimo mai, forse non ci ammaleremmo. Forse è solo per distrazione che moriamo».

E poi come in ogni romanzo che si rispetti c’è l’amore, quello solido e fiducioso di Ada, che con forza e dolcezza sostiene Piero, lo rassicura e lo alleggerisce dai suoi pensieri ingombranti e che, in quella fragilità di cristallo misto di esuberanza e gioia, rappresenta il sole, una luminosa stella che infonde vita (non voglio svelarvi la spiegazione del titolo che è davvero degna di essere letta senza che qualcuno ve la racconti prima!). E c’è l’amore improvviso e insicuro di Moraldo per Carlotta, una giovane fotografa indecifrabile e inafferrabile, che sconvolge il suo equilibrio. Ma tra l’amore, la gioventù con i suoi slanci, la tensione verso il futuro, la malattia, la fatica e le aspirazioni si affaccia l’Italia in fervore degli anni ’20: gli squadristi, le violenze del fascismo, Benedetto Croce e la sua “serenità nel combattere”, l’intensa critica di Piero nel far sentire la sua voce dissidente, le folle agitate e urlanti. Un’Italia per certi versi non troppo diversa da quella dei nostri giorni, animata da forze contrapposte, piena di conflitti e dilemmi in cui il contributo di ognuno può sembrare insignificante. Eppure l’autore di Mandami tanta vita invia un messaggio incoraggiante attraverso il personaggio di Piero: «Esiste qualcosa che davvero possa lasciare traccia, in questa eterna confusione del mondo? Un’azione, un gesto umano in grado di modificare il corso delle cose? Si può agitare l’acqua di un lago con la forza delle nostre dita? Il tempo di una singola vita umana non permette di misurare il risultato di una battaglia, ma non per questo perde senso lottare». Un pensiero che immagino mi resterà impresso per molto tempo e che spero possa servire a tanti per ritrovare la forza nell’inseguire ogni giorno le proprie idee non rinunciando mai a combattere per esse.


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