Manlio Cancogni – La cugina di Londra

Creato il 27 gennaio 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Recensione di Emanuela D’Alessio

«Nora e Nino fecero amicizia quando i nonni materni, assenti a lungo dalla Versilia, decisero di tornare per un’estate. Benché cugini primi, figli di sorelle, abitanti nella stessa città, fin’ora s’erano visti di rado. Nora aveva undici anni, Nino sette».
Inizia così questo romanzo di Manlio Cancogni, scritto tra il 1977 e il 1978, a lungo dimenticato in un cassetto e ritrovato casualmente nel giorno del suo novantacinquesimo compleanno. Doveva concludere, ricorda l’autore nella nota finale al libro, un ciclo di sette volumi dedicati alla sua famiglia, una saga dal titolo Una famiglia di artisti che non fu mai pubblicata.
I due cugini si incontrano da bambini e non si perderanno più, sebbene i loro cammini attraverso l’adolescenza e la prima maturità saranno diversi e distanti. Nino è «bruttino ma simpatico, eccessivamente taciturno e schivo, nel visuccio aguzzo sbarrato dagli occhiali», sempre pronto ad arrossire; a sette anni già sapeva di amare Nora «più di ogni altra persona al mondo». Nora, invece, è spigliata e vivace, in conflitto con la madre Aldina che era «sempre scontenta, ipercritica e nevrastenica», prima affascinata da Sara «bella e giovane zia, che ogni estate la voleva con sé nella villa dei genitori a Motroni», poi dalla zia Rita, la madre di Nino, quindi da tutto e tutti che non fossero sua madre e suo padre. Perché Nora, così come Nino, non troveranno mai nei rispettivi genitori quel rassicurante riferimento di amore e comprensione di cui avrebbero avuto invece assoluto bisogno. Cancogni, infatti, nel descrivere con attenzione l’evoluzione interiore e psicologica dei due ragazzi, non trascura di evidenziare con sconcertante crudezza il fallimento e la solitudine della famiglia. Tra padri e figli – sembra voler dimostrare l’autore – non esiste empatia e comprensione, gli uni sempre impegnati nella ricerca affannosa di stimoli e gratificazioni da non rendersi conto di null’altro, gli altri abbandonati a loro stessi nella ricerca altrettanto affannosa e dolorosa di un ruolo da adulti. Nino non mostrerà particolari inclinazioni, tranne quella per la magia, tenterà di diventare un mago, un prestigiatore, ma finirà agli angoli delle strade a truffare i passanti con il gioco delle tre carte, dopo aver abbandonato il prestigioso liceo Tasso e aver tentato la strada della fotografia. Nora, insofferente e inquieta, deciderà di allontanarsi dalla famiglia per intraprendere un viaggio incerto e senza meta che la porterà a Londra e in molti altri luoghi, perché «viaggiare per il mondo, lontano da casa, era certamente la cosa da farsi al più presto. Era come cambiare pelle ogni giorno, non lasciando che si appiccicasse sulla propria persona. Soli col mare o con la pirateria, con i delfini o i cavalli, nel vento», più concentrata a sperimentare le infinite variazioni delle relazioni amorose che a realizzare la sua unica aspirazione: diventare una scrittrice. La ritroveremo in America, moglie di David e madre di Brian. Li ritroveremo, Nora, Nino e Brian, addormentati esausti su un aereo, con l’Atlantico alle spalle. «Si ha un bel volere partecipare all’altrui infelicità quando si è felici; e quando si hanno tante cose da dirsi, e l’avvenire è un unico giorno dai contorni indefiniti».
Una storia a lieto fine, dunque, ma dove emergono la tragicità dell’adolescenza, la solitudine e la disperazione, le ipocrisie che imprigionano i legami familiari, anche se i genitori non fanno altro che ricordare come il loro sia «l’unico bene che non viene a mancare, qualunque cosa accada, nella buona e nella cattiva sorte». Una storia dove tutti si interrogano sull’amore ma nessuno sembra conoscerlo, riesce a trovare una definizione, limitandosi a rincorrerlo come una chimera.
Una storia che dura quasi vent’anni, tra i Cinquanta e i Sessanta, tra albe e tramonti sulle spiagge incantate della Versilia – dove «il mare era una lamina piatta, d’un colore grigio ferro che lentamente s’anneriva. Sorta la luna cominciò a muoversi, a fremere di luci e d’ombre» – estati e inverni, tra Roma, Trieste, Firenze e Londra, la Dalmazia e gli Stati Uniti.   
Cancogni sorvola tutto questo con sguardo distaccato ma soffermandosi su dettagli apparentemente irrilevanti per offrire un’interpretazione nuova della quotidianità. È il concetto di “sublimine”, tanto caro a lui e al suo amico Cassola, a fornire la chiave di lettura di questa storia, come della letteratura e dell’esistenza stessa, quello strano stupore che alle volte ci coglie impreparati, svelandoci aspetti della realtà che fino a quel momento erano rimasti ignorati o semplicemente trascurati.
«Le cose in genere sono oggetti che noi percepiamo genericamente, opacamente, in vista dell’uso da farne, non per quel che sono. Ma a tratti, in certi momenti speciali, quando la nostra attenzione si allenta, emergono chiare e nette, oltre la soglia della coscienza pratica, rivelando quel che sono in se stesse, per sempre».
La cugina di Londra forse non è il primo libro con cui iniziare la riscoperta di Manlio Cancogni cui Elliot ha deciso di dedicarsi da qualche tempo, ma se ne apprezza il valore della scrittura, elegante e semplice al tempo stesso, che riesce a farsi perdonare l’eco di “vecchio” che risuona di tanto in tanto: «Nora si ritirò a coltivare le proprie pene in camera», «chissà che brutte facce avevano e come ghignavano nell’eseguire quel tristo lavoro», «Nora ebbe un sorriso bieco. Non avrebbe certo parlato di sé a quella lungona legnosa dall’espressione di oca sul viso pallido e incipriato».
Un apprezzamento, infine, alla bella copertina disegnata da Maurizio Ceccato (Ifix), luminosa e colorata, un abile connubio di antico e moderno.

Nota sull’autore
Manlio Cancogni è nato a Bologna il 6 luglio 1916. «Io mi sono sempre sentito versiliese anche se sono nato casualmente a Bologna e ho trascorso la gioventù a Roma. Ma già da bambino i miei genitori mi portavano in vacanza in Versilia». Laureatosi in Legge nel 1938 e divenuto insegnante, Cancogni è stato un giornalista e uno scrittore assai prolifico. Elliot ha riportato all’attenzione del pubblico le sue opere iniziando con la pubblicazione, nel 1999, del libro La Sorpresa, dove sono riuniti i racconti più significativi dello scrittore, dal 1936 al 1993, che restituiscono al lettore i momenti salienti di una vita. L’infanzia, i compagni di scuola, gli amori adolescenziali, la guerra, i primi passi nel mondo del giornalismo, l’influenza di James Joyce, l’amicizia profonda e tormentata con Carlo Cassola e quella con Carlo Levi, le frequentazioni di artisti e pittori del calibro di Montale e Guttuso. L’antifascismo e l’anticomunismo.
Cancogni, con alle spalle oltre quaranta romanzi e i più importanti riconoscimenti letterari, dal Premio Strega al Premio Viareggio, dal Bagutta al Grinzane Cavour, è ancora oggi uno degli autori più apprezzati della letteratura italiana, nonostante la scelta, intrapresa negli ultimi anni, di smettere di scrivere: «Nel 2002-2003 mi venne una depressione tremenda, per la quale non potetti far niente per tre anni, con scarso rimpianto per quello che avrei potuto fare. Poi, quando mi è passata la depressione, mi è anche passata la voglia di scrivere. E, dunque, è finita la mia carriera di giornalista e di scrittore».

Per approfondire:
leggi l’intervista sul Corriere della Sera
leggi la recensione sulla Repubblica di Firenze

Manlio Cancogni, La cugina di Londra
Elliot, 2011
pp. 192, euro 16


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