Quel treno mi riportava a casa, la mia casa di sempre, perché io ne ho tante di case. E ognuna è mia come è mio il sole, la terra, il mare. Fotografavo la laguna, mentre il treno mi riportava nella mia casa di sempre. Era un manto bluastro accecato di luci colorate che imprimevano una retta lunghissima sull'acqua ferma. L'afa era soffocante ma il momento era magico, perché era un momento tutto mio, fatto di pensieri solitari a cui nessuno poteva accedere. E mi cullava il rollio del treno, come una monotona nenia che mi aiutava a pensare intensamente, intensamente come poche volte riusco a farlo. A ricreare una situazione così ovattata da veder scorrere i miei pensieri lungo quel manto bluastro. E alla fine dei pensieri, lo scoppiettio delle luci, come a separare la loro l'intensità. Quelli seri e pacatamente tristi venivano divisi da quelli più illuminati, più sentiti, più allegri, forse. Tornavo in una delle mie case dove sono solita trascorrere molto tempo, tra un viaggio e l'altro. E ogni viaggio mi riporta a nuovi pensieri a nuova vita, a nuove esperienze. Perché ogni città è la mia città e la conosco bene perché ci sono stata realmente o con la fantasia, non importa. E mi assopisco e l'aria viziata sa di persone diverse, ha odori diversi, le lingue sono incomprensibili e ognuno parla come vuole e se vuole sbraita. La donna dinanzi a me sgrana un rosario, ha la croce alla fine delle sfere, la guardo, incuriosita per il modo di recitarlo. Va veloce, troppo veloce per una preghiera e poi estrae un libricino che ha il sapore degli anni, incollato con il nastro adesivo e aggiustato con un filo. Lo legge e le si vedono le labbra muoversi. Mi piacerebbe avere un posto in una casa dove una donna recita un rosario in fretta. E forse l'avrò.
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