Manuel von Stürler: Hiver Nomade

Creato il 23 luglio 2013 da I Cineuforici @ICineuforici
Hiver Nomade
(Svizzera 2012, 90 min., col., documentario)


“Affacciarsi alla finestra e osservare, in un campo, dei pastori insieme alle loro pecore. Sono andato da loro è ho scoperto un mondo nomade a me sconosciuto. Sono rimasto affascinato e ho deciso di seguirli. L’inverno successivo ero lì con la mia troupe”. Hiver Nomade è l’opera del regista svizzero Manuel von Strüler, dedicato alla transumanza nomade di pecore nel cantone elvetico di Vaud. Pascal e Carole trascorrono quattro mesi all’anno, i più freddi, alla ricerca di terreni adatti per il pascolo dei loro animali. A inizio stagione, i due pastori muovono ottocento pecore, tre asini e quattro cani pastori, ma via via che l’inverno avanza consegnano gli ovini al loro datore di lavoro che li destina al macello. La carne di un agnello è migliore dopo la transumanza. Un documentario che fa riflettere e che riflette sul contenuto di due “sottrazioni umane”. La prima privazione è la perdita del rapporto arcano con la natura. Cosa ci fanno due pastori, ottocento pecore, tre asini e quattro cani in un campo con, come sfondo, l’autostrada? Niente. Ma chi dei due, pastore o autostrada, è davvero fuori tempo massimo? Facile rispondere, ma più difficile è motivare le risposte: esse si trovano nella cinematografia di Peter Weir, di Werner Herzog e nel pensiero del filosofo Ludwig Klages. Ma al bando i voli pindarici e si ritorni al documentario di von Strüler. Lo svizzero, per mostrare il rapporto fra natura e artificio, mette sul tavolo una carta strana, nuova e, forse (ahimé) vincente: l’ironia. Il suo documentario ha aperto la bocca del pubblico e ha permesso l’uscita di fragorose risate, non le mie (ho al massimo sorriso). Quale materiale ha suscitato l’ilarità degli spettatori: il fuori luogo. Infatti, è fuori luogo, fuori dall’abitudine consolidata, accostare l’immagine del pastore ricoperto di pelli ovine a quello dell’autostrada. L’accostamento bislacco suscita la risata del pubblico. Il motivo di tale divertissement sorge dal fatto che ciò che si è visto è reale. Per davvero Pascal e Carole devono “passare di lì”, per pascolare le bestie: non è finzione. Se però il documentario è un genere cinematografico che mostra la realtà, esso la mostra dal punto di vista del regista. Von Strüler richiama l’attenzione del pubblico su qualcosa che sta scomparendo attraverso la risata. Deplorevole? Assolutamente no, anzi: chapeau! Mi spiace, ma questo è un giudizio personalissimo, che si debba fare dell’ironia per attirare attenzione su un tema a me caro come il rapporto fra uomo e natura. Ma tant’è e il regista non esita, in sede di montaggio, a scegliere quei momenti in cui Pascal, uomo un po’ burbero, e Carole incontrano persone un po’ spaesate di fronte al gregge o che ignorano l’esistenza della transumanza e dei pastori nomadi, solo per scatenare il riso e, di conseguenza, l’attenzione del pubblico. Il documentario mostra certamente la realtà, ma quella che vuole il regista. Si è giunti alla seconda sottrazione. Infatti, oltre alla perdita del rapporto viscerale con la natura (la Seele per Klages), rimpiazzato da mezzi invasivi e superficiali (il Geist sempre per Klages), per esempio l’autostrada (anche se necessaria), si sono persi anche i mestieri antichi, fra cui proprio quella pastorizia nomade che Pascal ha appreso dai pastori bergamaschi. Bisogna dunque apprezzare lo sforzo si Manuel von Strüler nel mostrare l’invisibile, la passione di un uomo verso il proprio lavoro e i propri animali (ancora una volta: simpatici i siparietti con i suoi asini) in una Svizzera francese che sembra, stando a quanto ci dice il regista, aver dimenticato il proprio passato.

Mattia Giannone

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