In un freddo intersecarsi di squadratissime architetture moderne tutte giocate sull’accostamento bianco-nero, sullo sfondo di una Los Angeles che neppure il sole della California riesce più a scaldare, Cronenberg inserisce le sue solite fissazioni: la pelle marchiata, stavolta non con un tatuaggio (La promessa dell’assassino) ma un’ustione facciale, e la deformazione fisica, nell’evidente sproporzione fisica del personaggio di Benjamin. A questi aggiunge un paio di fantasmi che tormentano giorno e notte pensieri e sonni dei protagonisti e il tema dell’incesto che, nato una prima volta per caso, si fa male ereditario volontario. Un cocktail di elementi d’eccezione e d’eccesso privi di qualsiasi appeal, fiaccati anche da risvolti diegetici smorti e tristemente prevedibili.
Maps to the stars illustra quindi un mondo spietato e matto, che però impressiona il giusto, lasciandoci di fondo una certa indifferenza e la sensazione d’aver buttato via due ore del proprio tempo…
Ah dimenticavo: da questo naufragio si salva solo un bagliore sanguinario. Gli schizzi di sangue sono una delle poche cose che a Cronenberg riesce ancora fare…
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