Mapuche: in Bilico tra Rabbia e Ironia

Creato il 31 luglio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

L’estate a Catania è quasi soffocante, non si riesce ad essere attivi. Lo studio, il lavoro, gli impegni quotidiani diventano delle vere sfide che mettono a dura prova la nostra forza fisica e psichica. È per questo che io ed Enrico Lanza, in arte Mapuche, abbiamo scelto un orario serale per incontrarci e fare due chiacchiere. Il cantautore catanese si dimostra davvero disponibile nel rispondere alle mie domande, ed immediatamente ci caliamo nel cuore dell’intervista. Non si lascia nulla al caso in quello che vuole essere un articolo di presentazione di un’artista dalle grandi potenzialità, un ragazzo come ce ne sono molti, con tanti sogni nel cassetto, tanti obiettivi da raggiungere, una chitarra e delle buone idee da trasformare in musica. Un’analisi minuziosa sulle precedenti esperienze artistico-musicali, sulle tematiche trattate nelle canzoni, sui progetti futuri e varie considerazioni sulla nostra società, sui pregi e i difetti che tanto ci caratterizzano e dai quali si trae ispirazione per la stesura di nuovi pezzi, storie da raccontare e da regalare a gente desiderosa di sorridere, riflettere, arrabbiarsi, immedesimarsi e persino piangere. Due birre, una panchina di Piazza Vincenzo Bellini, meglio nota agli etnei col nome di Piazza Teatro Massimo, ed un cielo nitido e stellato hanno fatto da cornice ad un’intervista dedicata a tutti coloro i quali fanno della musica un elemento fondamentale della propria vita.

Come nasce il tuo nome d’arte?

«Vedendo un documentario sui Mapuche, il cui significato è il popolo della terra, una tribù di indios proveniente da una zona del Sud America, situata tra il Cile e l’Argentina. Mi colpì la sonorità del nome, lo scelsi principalmente per questo».

Qual è il genere musicale che ami e apprezzi di più?

«Il genere che amo maggiormente è il punk. Però anche il genere cantautorale viene da me molto apprezzato. È quest’ultimo che influenza le sonorità e lo stile di Mapuche. I cantautori che maggiormente ascolto sono: Fabrizio De André, Flavio Giurato, fratello del più noto Luca, Claudio Lolli, Paolo Conte e Francesco De Gregori».

Ho potuto notare nelle tue canzoni un’irriverenza tipica di Rino Gaetano. Mi sbaglio?

«Anche Gaetano mi piace molto, ma non l’ho ascoltato tanto quanto mi è capitato con De Gregori o De André. Comunque, Rino Gaetano lo apprezzo e stimo parecchio».

Quali messaggi vuoi lanciare a chi ti ascolta?

«In realtà il mio obiettivo non rientra nella volontà di lanciare messaggi, ma, solitamente scrivo le mie canzoni perché vi è un’urgenza che mi porta a trovare una valvola di sfogo attraverso le parole in musica. Più che altro, c’è un intento di tirar fuori ciò che covo nella mia anima. Non ho mai avuto l’idea di lanciare messaggi».

Trovi delle affinità tra le tue tematiche e le diverse interpretazioni partorite dai fruitori?

«Sì, certe volte ho avuto modo di trovare delle forti analogie in merito alle interpretazioni altrui e la loro forte somiglianza con ciò che effettivamente esprimevano i miei testi».

L’ironia ed il sarcasmo tagliente sono il leitmotiv dei tuoi testi. Cosa ti ha portato ad essere così simpaticamente cinico verso il mondo che ti circonda?

«C’è sicuramente un background di letture ed ascolti, i quali hanno concorso alla creazione di quello che è il mio stile di scrittura. Tutto ciò che ho scritto nell’album “L’Uomo Nudo” trova modo di nascere da un periodo emotivamente forte della mia vita, il quale risale circa a tre anni fa».

Il tuo EP si chiama Anima latrina. Questo può essere considerato un approccio disincantato e disilluso verso gli animi umani, oppure un’invettiva verso una società falsa e ipocrita?

«Con l’EP “Anima Latrina” faccio un po’ ironicamente il verso a Lucio Battisti, in quanto il nome del suddetto EP non è altro che una citazione di “Anima Latina” del cantautore di Poggio Bustone. Le tracce all’interno dell’EP sono molto più dissacratorie e di rottura rispetto lo stesso LP “L’Uomo Nudo”. Paradossalmente “Anima Latrina” nasce perfino dopo “L’Uomo Nudo”, in quanto per quest’ultimo ho desiderato aspettare più tempo per la sua pubblicazione, così da poterlo rifinire e perfezionare in tutte le sue parti».

Quanti Enrico Lanza si nascondono dietro Mapuche?

«Piuttosto sarebbe più facile dire: “Quanti Mapuche si nascondono dietro Enrico Lanza”. Mapuche è un personaggio, molti suoi aspetti vogliono essere, e sono, quello che effettivamente non è Enrico Lanza, ma che vorrebbe essere. In pratica, la maschera smaschera la formalità, le convenzioni e la morale dettata dalla società. Mapuche mi rende libero di esprimermi così come io desidero, attraverso quella forma d’arte quale è il cantautorato. Il mio alter ego è tutto quello che non riesco ad essere nella società odierna, tutto ciò che non riesco ad esprimere: i pensieri più reconditi, i concetti socialmente non accettati o criticati da un perbenismo irritante».

In un mondo pieno di autocelebrazione e autocompiacimento, quanto può servire essere più autentici, gettare la maschera ed approcciarsi ad un’analisi più profonda di se stessi?

«Può servire moltissimo. Però, non so se sia conveniente ed utile, perché nella società nella quale viviamo bisogna essere abbastanza pronti, attenti e accorti rispetto tutto quello che potrebbe capitarci. Spesso il gesto di gettare la maschera potrebbe ritorcersi contro noi stessi. Bisogna utilizzare molta lucidità ed intelligenza in merito alla scelta di essere totalmente privi di “maschere”. Purtroppo la gente pensa al fine delle cose e non apprezza l’autenticità di una persona. Mio malgrado, il gesto di mostrarsi totalmente e completamente aperti non è conveniente né tanto meno socialmente accettato».

Rabbia, insoddisfazione, sarcasmo, sottile ironia. Ti scagli in maniera spietata verso il mondo che ti circonda, ma forse, soprattutto verso te stesso. Non è da tutti giudicarsi, invece che limitarsi a giudicare, schernirsi e mettersi in ridicolo, invece che puntare il dito contro il prossimo. Cosa ti ha portato ad essere così autocritico, quasi l’aguzzino di te stesso?

«In effetti, ci sono molte canzoni nelle quali faccio dell’autocritica. Analizzarmi, vivisezionarmi, e studiare me stesso mi è servito molto, così facendo ho potuto conoscere a fondo i miei pensieri ed approcciarmi in maniera obiettiva verso le considerazioni che ho del mondo che mi circonda. Non mi diletta pormi al di sopra delle parti, essere un autore super partes il quale giudica tutti dall’alto del suo piedistallo. Penso di vivere in un mondo di bestie ed io ovviamente ne faccio parte. Narrando me stesso racconto anche gli altri, poiché vivo in un mondo popolato da persone le quali come me vivono in una società, una comunità. Quindi, parlare di se stessi significa parlare anche di ciò che ruota intorno a noi».

A quando risale il tuo primo approccio con la musica?

«Verso i quindici anni. La colpa bisogna attribuirla a Kurt Cobain e la sua splendida musica, composta e soprattutto eseguita magistralmente con i Nirvana. Da qual momento ho incominciato a suonare la chitarra».

Gli autori letterari che maggiormente stimi e dai quali trai ispirazione?

«Pier Paolo Pasolini è di certo il mio autore preferito. La spudoratezza, l’impatto, lo stile narrativo randagio di Pasolini mi hanno sempre affascinato. Amo i racconti privi di filtri ed edulcorazioni di sorta del maestro bolognese. Comunque, anche Gogol’ e Cesare Pavese mi affascinano non poco».

Quali saranno i tuoi prossimi progetti musicali?

«Ho già scritto molte canzoni inedite. Parlo meno di me stesso e mi concentro più su una parte esterna a me, quindi meno intimista. Il mio approccio alla stesura di testi ha il desiderio di cambiare, così da evitare la caduta nei cliché e soprattutto tenersi lontani da vicoli ciechi di matrice stilistica, dai quali difficilmente si riesce ad uscirne fuori. Non voglio parlare solo di me stesso (anche perché penso di non farlo), ma raccontare il malessere che ci circonda, il quale per riflesso attecchisce e colpisce ognuno di noi».

Ritorniamo a Rino Gaetano: il suo stile, scanzonato e profondo allo stesso tempo, si riflette non poco nelle tue canzoni. Sei d’accordo con questa mia osservazione?

«Rino Gaetano senza dubbio fa parte dei miei ascolti, e del mio background. Ma, paradossalmente non è il cantante dal quale traggo maggiore ispirazione. Il cantautore calabrese è da me molto stimato, perché anch’egli in un certo senso si escludeva dai giochi. Si pensi ad una delle sue canzoni come: “Escluso il cane”, quest’ultima è molto indicativa e rappresentativa del modo di vedere ed analizzare la società nella quale si vive. Una vera canzone simbolo di Gaetano».

L’album L’Uomo Nudo può avere, a livello concettuale, delle analogie con il Pirandello dei testi teatrali?

«Non ci sono delle aperte ed immediate analogie con Pirandello. Però, quest’ultimo viene da me considerato come uno dei più lucidi, razionali e sagaci autori della letteratura italiana del Novecento. Nella mia fanciullezza, verso i dodici/tredici anni, ebbi modo di leggere molte opere dell’autore di Girgenti».

Ad Enrico Lanza interessa sapere il parere dei suoi ascoltatori? C’è da parte sua una certa curiosità verso i giudizi esterni. Oppure egli scrive solo per rispondere ad alcune urgenze personali?

«Se m’avessi posto tale quesito un po’ di mesi fa, beh, ti avrei risposto che l’opinione altrui non era di mio interesse. Adesso, invece, potendo notare un coinvolgimento da parte del pubblico, riesco maggiormente ad avvicinarmi a quest’ultimo ed interessarmi dei suoi pareri. Tempo addietro mi arrivarono alcune email, le quali mi lasciarono lusingato, e soprattutto mi fecero riflettere. I fan, con i loro messaggi, mi danno modo di approfondire maggiormente la mia stessa conoscenza del personaggio Mapuche».

Ti piacerebbe portare la tua musica su palchi e scene di livello nazionale? Vorresti far conoscere la tua musica anche ad ascoltatori “extra-isolani”?

«Sì, indubbiamente. Sono state previste per il prossimo tour, il quale partirà a settembre, delle date a Torino ed altre in giro per il paese. Quella del tour sarà davvero un’esperienza interessante, potrà servire ad arricchire il mio bagaglio di conoscenze».

Da quanto tempo porti avanti il progetto Mapuche?

«Questo tipo di progetto iniziò all’incirca tre anni fa. Prima di allora suonavo la chitarra elettrica in una band chiamata “Tramuntana”, inoltre per la suddetta band scrivevo i testi, i quali venivano cantati in siciliano. Successivamente, diedi vita al progetto “Mapuche”, il quale partì non solo come progetto solista, ma anche e soprattutto come un lavoro esclusivamente acustico. Dopo la realizzazione dell’album “L’Uomo Nudo”, quest’ultimo registrato a Siracusa (Viceversa Records), ho incominciato a suonare con il supporto di una band, e questo mi ha dato modo di notare quanto le mie idee potessero esulare, a volte, da un tipo di concetto prettamente acustico e solista».

Quali emozioni provi, quali pensieri sfiorano la tua testa e qual è il tuo stato d’animo quando sei on stage?

«Guardo il pubblico che mi trovo davanti».

Quest’ultimo ti coinvolge positivamente o meno. Ti sprona o t’incute timore e/o soggezione?

«Ad esempio, le famiglie sono per me un bel problema. In questo riconosco di dover essere più coraggioso e sfrontato, però c’è da dire che il divertimento, fortunatamente, va sopra ogni cosa».

C’è un aspetto emotivo particolare, il quale ti aiuta nella produzione dei testi?

«Sì, molte canzoni le ho scritte di getto, anche nel giro di poche ore. Tutto dipende dal tipo di momento che vivo. Ovvero, in un certo periodo della mia esistenza ho potuto trovare molti più spunti e fonti per la stesura dei testi, rispetto ad altri periodi meno prolifici».

Parlami un po’ di alcuni dei tuoi brani

«Per esempio ne “La parte peggiore” si può intravedere come la rabbia e l’istinto la fanno da padrone. Infatti, tale traccia ha trovato modo di essere conclusa nel giro di poche ore. Invece, le canzoni più ironiche ovviamente sono più studiate, perché c’è una ricerca della parola giusta, grottesca, che possa far scaturire non solo un sorriso, ma anche una riflessione. In “Io non ho il clitoride” ho avuto una visione, come un’immagine nella mia mente, la quale mi ha spinto alla realizzazione di un testo ironico e d’impatto. La stessa cosa è successa per “Al mio funerale”, solo che in questa occasione ha contribuito alla creazione del testo una mia esperienza personale che ebbi proprio ad un funerale, nel quale venivano esaltate dal parroco le qualità inesistenti del deceduto. Un’altra traccia che invece rompe totalmente gli schemi dell’album è un mio modestissimo omaggio a Guy Debord, filosofo francese, il quale attaccava i dogmi ed i sistemi del rutilante mondo dello spettacolo. Il brano in questione s’intitola “L’atto situazionista”. Debord desiderava lasciare un segno nella società, pur sapendo che l’indifferenza generale sovrasta tutto. In “Malvolentieri” traggo spunto da un altro grande autore come Claudio Lolli, il quale critica la società non più con l’arma dell’ironia tagliente, ma con un fare arrendevole, disincantato, disilluso, quasi avvilito ed inerme verso lo straripante marciume proveniente da essa».

Ci sarà la creazione di qualche videoclip inerente i brani de L’Uomo Nudo?

«A breve uscirà un video di “Fogna”. Sarà un videoclip animato che mi vedrà protagonista. Si potrà vedere la mia controparte animata che andrà in giro per casa, inveendo contro il mondo. Adesso si potrà trovare in rete il teaser del suddetto videoclip, ma il video integrale sarà presente nel web tra un paio di mesi. Inoltre, il brano “Fogna” vuole essere il mio personale elogio della solitudine».

Che rapporto hai con i social network?

«Sono dei mezzi fondamentali per la divulgazione di musica ed informazioni. Il mio rapporto con questi non è pessimo, ma da semplice utente. C’è chi preferisce fare promozione “vecchio stampo”, cioè andare fisicamente dai possibili e potenziali fruitori e presentare le proprie opere. Anch’io preferisco questo secondo metodo di marketing, meno virale ma più reale. Preferisco il vinile alla traccia MP3».

Con quale altro artista ti piacerebbe collaborare?

«Sarebbe davvero interessante ed entusiasmante poter collaborare con artisti del calibro di Flavio Giurato, oppure Bugo».

Chi, invece, non ti appassiona a livello musicale?

«Il gruppo electropop “I Cani”, questi ultimi li vedo un po’ troppo distanti dai miei canoni artistico-musicali. Ma ciò non esclude il fatto che li rispetti».

Lascio a te le ultime parole

«Spero che il mio lavoro vi piaccia e che possa al più presto farvi ascoltare il mio nuovo LP».


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