Marano (Rai) alla Gazzetta dello Sport: "Sky è l'attico dello sport, noi il condominio"

Creato il 31 gennaio 2014 da Nicoladki @NicolaRaiano
Per la prima volta da quando c’è la tv in Italia, non vedremo sulla Rai i Giochi olimpici, quelli invernali di Sochi al via il 7 febbraio. Ma Antonio Marano, vice direttore generale dell’emittente di Stato, respinge le critiche. E lancia frecciate, per nulla velate, alla politica e al presidente del Coni Giovanni Malagò.
Non si può nascondere un fatto epocale: Sochi andrà tutta su Sky, alla Rai solo gli highlights. Perché?«Se Sky credeva così tanto alle Olimpiadi non capisco perché poi ci ha venduto integralmente quelle di Rio del 2016. La differenza è che noi non facciamo solo fatturato ma anche sistema sociale. Quando ci fu l’aggressione di Sky ai Giochi, andai in Commissione di Vigilanza e illustrai i rischi che si correvano passando dall’universalità dello sport, rappresentata dalle Olimpiadi, al principio del “tutto per pochi”, del “se pago vedo, se non ho i soldi non vedo”. La democrazia non è legata solo al diritto di voto ma anche al diritto di essere informati. Il problema è che in Italia si considera lo sport solamente come un evento di massimo ascolto, ma in realtà è la base culturale su cui si costruisce la società. Purtroppo negli ultimi mesi non ho sentito dire da nessun politico che lo sport è un problema del Paese. È stato un errore della politica e delle authority, non della Rai, quello di non aver tutelato il diritto sacrosanto delle Olimpiadi free. Già nel 2005 ricordavo a tutti come i diritti tv di Olimpiadi, Mondiali ed Europei di calcio in un decennio fossero aumentati del 1600%».
È già previsto per legge che parte di un evento come l’Olimpiade debba essere visibile in chiaro, tant’è che 100 ore di Sochi verranno trasmesse da Cielo. Non basta?«No. È osceno che un evento come l’Olimpiade vada anche minimamente in pay. In altri Paesi viene difeso con forza il diritto del telespettatore e il principio dello sport per tutti: in Inghilterra non si sognano neppure di far pagare per vedere Wimbledon».
La Rai non poteva far nulla per prendersi Sochi?«La trattativa era legata anche a Rio 2016. Abbiamo dovuto scegliere cosa era meglio valorizzare e ritenuto più interessante puntare sul progetto a medio termine di Rio, dove abbiamo già aperto la sede Rai con De Paoli. Certo, c’era anche un problema di budget».
Sky ha ospitato l’ultimo consiglio nazionale del Coni e Malagò ha detto: “Senza Sky l’Olimpiade di Sochi non si sarebbe potuta vedere”.«Sbaglia chi dice che Sky è la casa dello sport. Sky è l’attico, noi siamo il condominio. L’attico ha un valore pregiato ma è per pochi, il condominio è per tutti, per tutti gli sport. Malagò deve ricordarsi che per arrivare in cima deve passare da noi, che facciamo tutte le Paralimpiadi in chiaro, non meno importanti dei Giochi invernali. Anziché scendere in elicottero, gli suggerisco di farsi tutte le scale, fermarsi su ogni pianerottolo e guardare cosa fa la Rai. A quel punto potrà dire: “Beh, sono qui perché qualcuno ha permesso al grande sport di arrivare fino all’attico”».
I diritti tv si sono gonfiati a dismisura, basti pensare al miliardo incassato dalla A. Per il sistema è una questione di sopravvivenza. Deloitte ha calcolato che nel 2014 il valore dei diritti premium nel mondo salirà a 20 miliardi, il 14% in più in un anno. Come può la Rai competere in uno scenario simile?«Guardiamo il quadro europeo. Quest’anno la Rai trasmetterà in diretta 9 gran premi di Formula 1 contro gli 11 di Sky. In Germania la Zdf, in Francia la France Télévisions e in Spagna la Tve non sono titolari di questi diritti. Noi proponiamo la stessa offerta della mitica Bbc, che costa molto di più della Rai. In Europa i servizi pubblici stanno disinvestendo sui grandi eventi sportivi. Le emittenti di Stato in Germania, Francia, Inghilterra e Spagna hanno rinunciato alle qualificazioni a Europeo 2016 e Mondiale 2018 di calcio. Noi concorreremo. E quest’anno trasmetteremo tantissimo sport, mondiali ed europei di tutte le discipline dall’atletica al pattinaggio. Lo dicono i numeri: la Rai è in Europa la tv, tra pubblico e privato, che trasmette più ore di sport ed è l’unica ad avere due canali tematici. Nel biennio investiamo 400 milioni in diritti sportivi. Criticateci su tutto ma non sulla quantità».
Il piatto forte del 2014?«Faremo faville col Giro d’Italia. Tutto in HD, concepito come la Formula 1: le microcamere sulle biciclette, l’audio tra le ammiraglie e i corridori, la ripresa in diretta dei ciclisti in albergo. E poi su Rai Storia il Giro della cultura, seguendo lo stesso percorso per far conoscere arte e costumi dei luoghi. Vi stupiremo. Il ciclismo, lo sport popolano per eccellenza, è quasi tutto sulla Rai. L’unica cosa che non abbiamo è la Vuelta, ma l’anno prossimo quando scadrà il contratto di Eurosport ce la riprenderemo».
Dove la Rai può migliorare?«Compiamo 60 anni di tv e 90 di radio. Il nostro è un giornalismo che ha una grandissima storia ma proprio per questo ha difficoltà di linguaggio, fatica a inserire linfa nuova, a causa anche di un sistema di tutele di certi privilegi. Non bisogna solo essere grandi telecronisti ma anche ottimi produttori di eventi. Nelle rubriche siamo carenti ma stiamo cominciando a crescere».
Quest’anno scade il contratto con la Figc per la Nazionale. D’ora in poi sarà l’Uefa a gestire i diritti delle qualificazioni europee. C’è il rischio che la Rai perda la squadra azzurra?«Vorrei che le tv pubbliche di tutta Europa dicessero basta. Tutta questa montagna di denaro serve per costruire campi sportivi? No. Qui parliamo di banche d’affari che hanno società in grado di garantire, che comprano e fanno un’operazione di mercato. Chi ci guadagna sono gli intermediari».
E alla Champions siete interessati?«Sì ma tutto è in funzione delle nostre capacità economiche».
La Coppa Italia vi soddisfa?«Se il format è questo è perché la Rai l’ha proposto. Ora ha un forte appeal, funziona e non c’è motivo di cambiare».
Nella Serie A “spezzatino” la Rai recita da comparsa.«Ancora mi vanto di quando, nel 2005, depositai un’offerta da 100 euro. La base d’asta era di 45 milioni, Mediaset arrivò addirittura a 62. Avevamo già intuito che con l’avanzata della pay i diritti in chiaro si erano deprezzati. Alcuni mesi fa sono andato in Lega calcio, ai presidenti delle società ho detto: “Non sono qui per comprare, perché non costruiamo assieme il domani puntando sulle giovanili?”. Andrea Agnelli mi ha dato ragione. Dopo qualche settimana la Rai ha acquistato i diritti del campionato Primavera. L’abbiamo fatto perché quello è il nostro compito: far crescere eventi e discipline ritenuti erroneamente minori».
Intervista di Marco Iariaper "La Gazzetta dello Sport"

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