Il racconto ha lo stile di un memoir, genus della specie “autobiografia”, che differisce da questa poiché non racconta un’intera vita, ma una singola esperienza di vita, mediante informazioni disorganiche e non diacroniche.
Attraverso i suoi appunti sparsi e spesso sconclusionati, raccolti durante il periodo di terapia, l’autrice riporta con un approccio fortemente scientifico le manifestazioni del bipolarismo: cioè l’alternanza di picchi di euforica e febbrile mania, caratterizzati da frenetismo, incontinenza di pensiero e libido, a fasi depressive, autodistruttive e di alienazione.
La narrazione è caratterizzata da una profonda genuinità e da un ammirevole coraggio di spogliarsi totalmente di fronte al lettore, permettendogli di ottenere un’esperienza a tutto tondo del disturbo: dalle sue problematiche iniziali sull’accettazione, sino a giungere alla vergogna di comunicare ad altri l’esistenza della malattia a causa del timore di essere ripudiati.
Ellen affronta il suo disturbo in due distinte fasi:
Nella prima crede di essere entusiasta del suo problema, ritenendo che il bipolarismo sia un presupposto fondamentale della sua creatività.
Tutti i più grandi artisti della storia sono stati affetti da disturbi della psiche, entrando a far parte del cosiddetto “Club Van Gogh”: da Michelangelo a Munch, Da Baudelaire a Virginia Woolf, Da Hendrix a Cobain.
Lungi dall’essere interessata a curare la propria malattia, Ellen ritiene di essere un soggetto predestinato, baciato dalla musa della follia, che costituisce un prezzo più che giusto da pagare in cambio del proprio talento; ritenendo addirittura che i farmaci possano inibire la sua creatività.
In una seconda e più consapevole fase, l’autrice decide di curarsi, descrivendo nel dettaglio la terapia, i farmaci assunti e l’enorme difficoltà dell’affrontare le conseguenze della malattia con i conoscenti e nella sua vita lavorativa, che alterna periodi di iper-produttività e vita smodata, e periodi di reclusione in casa.
La lettura di quest’opera è tutt’altro che rilassante e a tratti piuttosto disturbante.
Il lettore si trova spesso trascinato come in un gorgo, poiché l’autrice, attraverso una descrizione degli eventi tipica del flusso di coscienza, lo catapulta negli infiniti e deliranti pensieri delle fasi maniacali, che permettono di immedesimarsi in quel senso di spaesato straniamento che lei stessa stava vivendo.
I disegni sono molto stilizzati, semplici ed essenziali; non v’è spazio per la minuzia e la cura del dettaglio.
L’autrice inserisce nella narrazione alcuni bozzetti disegnati di getto durante la terapia, che simboleggiano il suo umore o alcuni pensieri ed ispirazioni del momento.
Spesso vengono utilizzati dei diagrammi di flusso “disegnati”, ovvero tavole con un ordine schematico di fondo, per descrivere delle situazioni e dei rapporti causa-effetto, oppure alcuni concetti, sia tecnici che non.
Marbles è un’opera di rilevante interesse, composta “per intervalla insaniae”,1 che porta a conoscere con paurosa realtà un disturbo tanto diffuso quanto poco considerato nella quotidianità, con un forte messaggio di speranza e un invito a reagire per chi si trova nella medesima condizione.
Quel punto finale, quel semplice, muto e radioso “Sto bene” con cui si conclude il fumetto, quasi fosse un mantra da ripetere a se stessa, costituisce un monumento di vittoria, il segno di un’opera che l’autrice ha deciso di lasciare più per sé che per il pubblico;
Il racconto di un’esperienza travagliata e del traguardo del suo superamento, la cui messa su carta pare essere condizione necessaria e rassicurante per convincersi di aver finalmente sconfitto un’ombra.
Abbiamo parlato di:
Marbles
Ellen Forney
Traduzione di Micol Beltramini
Edizioni BD – collana Psycho Pop, giugno 2014
256 pagine, brossura, bianco e nero – €18,00
ISBN: 9788866348818