Inizialmente, era nato come Il buio nel cervello, anche se i titoli con cui è conosciuto spaziano da Hallucinating trip a Salto nel buio; ma è Roma drogata: la polizia non può intervenire quello che, nel 1975, ha fatto conoscere al pubblico l’unico lungometraggio diretto dal compianto riminese classe 1929 Lucio Marcaccini, a quanto pare ex aiuto regista di grossi nomi del calibro di Vittorio De Sica e Nanni Loy.
Un titolo che, voluto all’ultimo momento dalla distribuzione, ovviamente,
Perché, con il Bud Cort di Harold e Maude nei panni del giovane liceale Massimo, nel cui giro di amicizie gravitano molti ragazzi drogati e che finisce inconsapevolmente per fare da pedina ad un poliziotto incarnato da Marcel Bozzuffi, fortemente deciso ad incastrare un boss indiscusso del traffico di stupefacenti, gli oltre ottantacinque minuti di visione non si basano, in realtà, sulle sparatorie ed i serrati inseguimenti tipici del filone, ma azzardano addirittura tematiche di carattere esistenziale-sociologico.
Quindi, tra improvvisa morte di un figlio di aristocratici cui il protagonista aveva procurato l’eroina, poteri religiosi e politici pronti a sbarrare la strada alla polizia e i veterani Maurizio Arena e Leopoldo Trieste a rappresentare i cattivi della situazione, sono principalmente contestazioni giovanili, fanciulle generosamente svestite e deliri allucinatori spazianti da individui che sembrano ramarri chiusi in buste di plastica ad altri dediti al cannibalismo a popolare i fotogrammi; riscoperti da CGHV, per il marchio RaroVideo, con un booklet all’interno della confezione e due trailer (italiano e inglese) e una video-intervista al montatore Giulio Berruti quali contenuti extra.
La stessa CGHV che, per la collana CineKult curata dalla rivista Nocturno, riesuma dal dimenticatoio anche
Infatti, mentre apprendiamo che i mitici Mario Brega e Riccardo Garrone, testimoni occasionali e non visti del delitto, maturano l’idea di ricattare l’assassino per estorcergli del denaro, veniamo a conoscenza del fatto che l’uomo non sia altro che un ricco pittore sposato, dedito al libertinaggio, residente in una villa sulla Costa Azzurra e colto quella notte da un raptus omicida; nel corso di un fino ad oggi rarissimo giallo italo-tedesco atto a privilegiare le indagini nel costruirsi su un morboso e aggrovigliato intrigo destinato a coinvolgere il marito della vittima, un investigatore privato scortato da un fedelissimo cane lupo e altri personaggi la cui presenza provvede a complicare il tutto.
Man mano che troviamo in scena anche Adolfo Celi e Anita Ekberg, prima che venga allo scoperto la soluzione della vicenda; della quale parla lo stesso regista nell’intervista posta insieme al trailer nella sezione del disco riservata ai contenuti speciali.
Ed è sempre CGHV ad arricchire il catalogo Mustang Entertainment tramite I quattro dell’apocalisse,
Anche qui abbiamo il già citato Testi, che, stavolta nella parte di un baro giunto in uno sperduto paesino del West, prima si ritrova in carcere in quanto riconosciuto dallo sceriffo locale, che non esita ad arrestarlo, poi, dopo che un gruppo di uomini incappucciati assalta il posto compiendo una strage, viene liberato insieme ad altri manigoldi, vagando per il deserto in compagnia di una bizzarra combriccola.
Combriccola costituita dalla prostituta incinta Lynne Frederick, il mezzo pazzo di colore Harry Baird, che dice di parlare con i morti, e un ubriacone cui concede anima e corpo Michael J. Pollard, candidato al premio Oscar come migliore attore non protagonista in Gangster story di Arthur Penn.
Ma a movimentare ancora di più il viaggio è il loro incontro con un messicano che, interpretato da Tomas Milian prendendo ispirazione dalla figura di Charles Manson, altro non è che un sadico e spregevole individuo che non esita neppure a torturare a morte un uomo di legge, durante uno dei momenti maggiormente memorabili dell’operazione… immersa nella splendida fotografia di Sergio Salvati e che riserva anche un pasto a base di carne umana (!!!).
Francesco Lomuscio