Marcovaldo (Calvino)

Creato il 28 settembre 2015 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Quando, anni fa, presi per la prima volta in mano Marcovaldo, lo abbandonai dopo poche pagine: ero in seconda media, reduce dalla folgorazione de Il barone rampante, e questo testo, così diverso dal precedente, mi lasciò fredda e indifferente. Forse era il maggior realismo della narrazione, l'intreccio di una sofferta vicenda umana a renderlo più ostico delle vivaci avventure di Cosimo Piovasco di Rondò e, rileggendolo nei giorni scorsi mi sono detta che forse fu proprio questo a provocare il mio distacco: per un dodicenne non è così facile capire la profondità del disagio del protagonista e, quindi, la grandezza delle sue fantasie.Marcovaldo è un operaio che vive solo per sfamare la sua numerosa famiglia, senza poter offrire ai suoi figli tutto ciò che i bambini amano, dai giocattoli alle prelibatezze di cui abbondano i negozi. Italo Calvino ci descrive la sua esistenza nel susseguirsi di cinque anni, per un totale di quattro stagioni, ciascuna corrispondente ad un racconto (il sottotitolo del libro è, infatti, Le stagioni in città). Marcovaldo è, dunque, una piccola antologia che ha come filo conduttore le avventure e disavventure di questo personaggio ordinario, schiacciato dal fervore della società di massa, dai ritmi che essa impone e dai bisogni che essa crea, senza però potersi adeguare ad essa, perché troppo povero e troppo ingenuo. Marcovaldo, però, ha una straordinaria capacità di fantasticare: gli basta scorgere dei funghi cresciuti ai piedi della pensilina del tram per avvertire una sorta di ritorno alla natura e un'evasione dalla dura realtà, è sufficiente per lui vedere la città imbiancata dalla neve per sognare di trovarsi in un mondo nuovo, si dedica amorevolmente alla cura di una pianta come se dai suoi gesti dipendesse una rinascita della natura intera, si stupisce del passaggio di una mandria in città, vagheggiando una vita pacifica nelle campagne.
I venti racconti che compongono il libro sono caratterizzati da questo incontro-scontro di Marcovaldo con la modernità di una società che corre verso il progresso con i suoi tempi serrati, le esigenze del mercato e il consumismo che avanza, ma anche dalla dialettica fra le perversioni di un futuro che marcia con foga e l'emersione del bisogno di un ritorno alla bellezza naturale, ad una dimensione dell'esistenza più raccolta e genuina. Questo doppio binario, che mette in comunicazione la fantasia e l'infanzia con la rottura degli equilibri naturali e la mediocrità del mondo adulto, mi fa immaginare un dialogo a distanza con la narrativa di Dino Buzzati, sospesa fra realtà e sogno, come se entrambi gli autori avessero voluto lanciarci un avvertimento.
Vien da chiedersi cosa penserebbe Italo Calvino oggi, di fronte alla globalizzazione e alla smania di acquistare, ma anche di fronte alla crisi attuale, che ha prodotto tanti Marcovaldo, togliendo a molti di loro quella capacità di sognare che per questo personaggio costituisce l'unica via per sottrarsi all'alienazione e al disagio. Impossibile non trovare in questo libricino pubblicato nel 1963 una sorta di profezia del nostro presente, assieme al richiamo dell'umanità alla sua anima infantile, che permette di vedere la bellezza in mezzo al grigiore delle metropoli contemporanee e di un mercato impersonale, eloquentemente simboleggiato dalle gru con le loro mascelle divoratrici. 
Si chinò a legarsi le scarpe e guardò meglio: erano funghi, veri funghi, che stavano spuntando proprio nel cuore della città! A Marcovaldo parve che il mondo grigio e misero che lo circondava diventasse tutt’a un tratto generoso di ricchezze nascoste, e che dalla vita ci si potesse ancora aspettare qualcosa, oltre la paga oraria del salario contrattuale, la contingenza, gli assegni famigliari e il caropane.
C.M.Articolo originale di Athenae Noctua. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore e senza citare la fonte.

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