Sono fresche nella memoria le immagini di quello show messo in piedi dal governo italiano per accogliere il grande amico del nostro premier, Gheddafi, sono fresche anche le immagini della sua uccisione. Mare al mattino parla anche di questo, ma soprattutto di quello che c'è stato prima. Di tutto quel secolo di storia che ha visto due popoli intrecciarsi, due popoli di cui spesso si sono confusi i confini.
Inizia dagli anni trenta quando l'imperialismo degli straccioni, quello dell'Italia fascista, guardò proprio alla Libia, a un passo da casa, al di là del nostro mare. Negli anni trenta furono molte le famiglie italiane fatte forzatamente emigrare in quelle terre d'Africa per coltivarle e dare un nuovo impulso all'economia locale. Angelina era nata proprio lì, in Libia, quella era la sua terra, nessun altra al mondo. Non importava se i geni dicevano di lei che era un'italiana, Angelina si sentiva africana, libica, a tutti gli effetti. Eppure a undici anni è costretta ad andare via. La sua famiglia era stata trascinata in Libia dalla politica di Mussolini e adesso viene riportata a casa dalla politica di un nuovo dittatore che vuole bonificare il territorio nazionale da questi intrusi. Così Angelina attraversa il mare e torna in quella che secondo Gheddafi era casa sua: la Sicilia, l'Italia. La sua è una delle tante famiglie di Taliani: italiani di Libia, non più italiani e nemmeno più libici. Laggiù, in quella terra al di là del mare, Angelina ha lasciato la sua infanzia, una fabbrica di cera, un amore che poteva nascere e che non sarà mai più. Al di qua del mare c'è solo un Paese che non sa accoglierli, un Paese a cui i suoi genitori non sentiranno mai di appartenere. Lei invece pian piano ce la fa ad ambientarsi alla nuova vita, a dimenticare la cera, la sua casa, perfino Alì. Avrà un marito e un figlio, Vito, che un giorno, ormai diciottenne, si ferma a guardare il suo mare, pensando alla vita esule di sua madre, cercando delle risposte in mezzo a quelle onde. Che cosa fare della propria vita? Angelina sa che lui andrà via da quell'isoletta così a sud dell'Italia, sa che lascerà Lampedusa.
Al di là del mare, nemmeno troppo lontano, c'è un bambino che lo sta guardando per la prima volta. Farid non aveva mai visto il mare, prima viveva nell'entroterra, vicino al deserto. Aveva una gazzella per amica e una famiglia normale con un padre e una madre. La guerra ha portato via tutto questo, suo padre è morto e Jamila, la sua giovane mamma, non ha esitato a prendere suo figlio e a portarlo via da lì. La loro speranza è quel mare blu, quel mare da attraversare su un barcone. Quel mare che li porterà via dalla loro terra, da quella violenza, da quella morte.
Ed è il mare, il nostro mare, ad essere il vero protagonista di questo romanzo, il mare che divide e unisce, il mare che promette e non mantiene, il mare che toglie e il mare che restituisce. Il mare che resta sempre lì, impassibile di fronte alla morte e alla disperazione delle persone che lo cavalcano piene di speranze, impassibile davanti a ogni guerra che è iniziata e poi finita, davanti a ogni dittatore confuso per uomo della provvidenza. Sempre lì.
L'ultimo libro del 2012. Speravo di chiudere in bellezza con l'ultimo, piccolo, romanzo di una delle mia autrici preferite. La Mazzantini riprova ad ambientare le sue storie in una terra di dolore e guerra e riprova, secondo me, a far emozionare profondamente come aveva fatto con quel capolavoro di Venuto al mondo . Solo che qui ci sono trecento pagine in meno e c'è poco approfondimento delle vicende dei protagonisti. L'impressione che ho avuto è che questo romanzo poteva essere, ma non è stato. Come quando i professori dicono di uno studente che si impegna, ma potrebbe fare di più.
Ecco, anche secondo me Margaret Mazzantini poteva fare meglio, ma molto, molto meglio. Forse ha avuto fretta di chiudere la storia. Con altre pagine magari Mare al mattino sarebbe potuto diventare qualcosa di meraviglioso. Io ho un debole per lei, mi piace il suo stile e penso davvero che sappia scrivere bene, però non penso abbia il dono della sintesi. Per mio gusto personale preferisco la Mazzantini che si dilunga nelle descrizioni, scavando nel dolore e nei sentimenti delle persone. Preferisco leggere quattrocento pagine che mi riempiano il cuore, piuttosto che cento paginette, scritte pure con un carattere grande, che poi alla fine sfiorano le cose, senza entrarci troppo dentro.
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