Mare Nostrum: come un popolo di contadini imparò a nuotare

Creato il 06 giugno 2014 da Signorponza @signorponza

Che il latino non sia una lingua morta, noi che siamo persone d’intelletto non ci mettiamo neppure a dimostrarlo. Tuttavia non possiamo escludere l’ipotesi che qualche malintenzionato, cinto da capo a piedi in una rigida armatura con schinieri di scienza e corazza di futurismo, s’imbatta nella nostra rubrica. Allora sarà nostro compito convertire quest’anima persa con parole e fatti concreti. Perciò ho scelto di occuparmi in questo appuntamento de L’ora di latino di un’espressione non moderna, non attuale, ma direi talmente in atto che il filo del suo destino, ben lontano dalle forbici di Atropo, è ancora in piena tessitura nelle mani di Cloto. La locuzione Mare Nostrum, infatti, ricorre da diversi mesi in ogni quotidiano e telegiornale, dallo sguardo pietoso di Barbara D’Urso a quello iridescente di Cesara Bonamici, di cui agevolo una diapositiva.

E questo perché Mare Nostrum è il nome scelto per l’operazione militare e umanitaria iniziata il 18 ottobre 2013 da il fu governo Letta per fronteggiare l’emergenza dovuta all’eccezionale flusso di migranti nello Stretto di Sicilia. E Mare Nostrum è anche il nome con cui gli antichi romani chiamavano, con una certa ma comprensibile possessività, il Mediterraneo. I Romani, tuttavia, nascono come popolo di contadini e pastori, non di marinai, caratteristica che noi Italiani, benché affacciati per ¾ sul mare, abbiamo ben ereditato, se durante la terza guerra d’indipendenza siamo riusciti a perdere una battaglia navale (battaglia di Lissa 20 luglio 1866) contro l’impero austro-ungarico, forza marcatamente continentale, e in tempi recenti la nostra Luna Rossa si è fatta battere ripetutamente dalla Svizzera che il mare manco ce l’ha, e in tempi ancora più recenti sono più le volte che andiamo a farci un sushi piuttosto che un fritto misto.

C’è stata però un’evoluzione nella storia di Roma che, dopo una diffidenza iniziale, ha portato il Mediterraneo da essere un semplice Mare a diventare il Nostrum, quello più vicino, quello che più ci piace e, last but no least, quello che noi comandiamo. La conquista romana del mediterraneo costituisce una rivoluzione fondamentale nella storia dell’Europa e un’impresa strabiliante, se si considera la rapidità con cui essa fu realizzata. Uno dei più grandi storici greci, Polibio (206 – 124 a. C.), che per altro visse per 17 anni a Roma come prigioniero di lusso girandosela tra i vari salotti e diventando amico intimo di Scipione Emiliano (come faceva lo gnocco fritto lui nessuno mai), dedicò infatti la sua principale opera, le Storie, ai 53 anni (dal 220 al 167 a.C.) durante i quali Roma divenne padrona incontrastata del Mediterraneo.

Ai Romani dunque piaceva avere la terra sotto i piedi e io non posso che trovarmi d’accordo, se ogni volta che devo prendere l’aereo già da qualche settimana prima la valeriana inizia magicamente ad aromatizzare ogni mio pasto. Se non ho studiato economia un motivo ci sarà, perciò lasciamo da parte tutte le bellissime avventure della marina mercantile, di Tito pescivendolo di Ostia che andava con la sua barchetta a vendere le sue triglie a Ponza (l’isola, non il Signor), e arriviamo alle robe interessanti, la marina militare. Già nel IV sec. a. C. i Romani dovevano aver approntato una misera e inadeguata flotta. La costituzione di un ingente apparato militare marittimo divenne necessaria con l’approssimarsi dello scontro epico, durato a intermittenza per più di un secolo, con un’altra grande potenza affacciata sul Mediterraneo, Cartagine. A differenza dei Romani, i Cartaginesi nascevano coi braccialetti per il mal di mare di serie, imparavano a tenere la pagaia prima della zappa e, come i loro antenati Fenici, avevano gran confidenza col mare. Qui ad esempio vediamo Annibale, Asdrubale e Amilcare sulla spiaggia di Djerba.

Tuttavia allo scoppio della prima guerra punica (264 – 241 a. C.) i Romani non erano ancora in grado di eguagliare la tattica navale dei Cartaginesi e subirono una bella bastonata nella battaglia delle Isole Lipari (260). Ma poi, ecco, il colpo di genio, l’introduzione del ‘corvo’, uno strumento di abbordaggio (no, non c’entra niente il tizio che vi offre un cocktail) composto da una passerella mobile dotata di uncini all’estremità che permetteva di agganciare la nave nemica.

In questo modo i Romani riuscirono a trasformare le battaglie navali in degli un po’ atipici combattimenti terrestri e a conseguire una vittoria dietro l’altra, da quella a Milazzo nel 260, fino a quella decisiva delle Isole Egadi nel 241. Da qui in poi i Romani continuarono a perfezionare la loro tecnica navale, tanto che nella seconda guerra punica (218 – 202 a.C.) riuscirono a bloccare via mare la città di Siracusa per due anni (214-212) fino alla sua capitolazione, resistendo a tutti gli espedienti congeniati dal matematico Archimede, dalle catapulte ai famosi specchi ustori.

Alla fine della seconda guerra punica Roma era padrona del Mediterraneo occidentale e nei cinquanta anni successivi portò a termine vittoriosamente moltissime guerre nella parte orientale, dove il dominio marittimo era ripartito tra i vari regni governati dai discendenti di Alessandro Magno che, alla sua morte, si erano spartiti il suo impero. Il tutto finisce nel 146 a.C. quando Roma, a Oriente sconfigge definitivamente la Macedonia rendendola provincia e rade al suolo Corinto, a Occidente distrugge e rade al suolo Cartagine. Adesso Roma è padrona incontrastata e assoluta dell’intero Mediterraneo, fatta eccezione per l’Egitto, che diventerà romano dopo la vittoria nella battaglia navale di Azio (31 a.C.). Qui Ottaviano (il futuro Augusto, primo imperatore) sconfisse Marco Antonio e Cleopatra, ultima regina d’Egitto, prendendo due piccioni con una fava: annette a Roma l’ultimo regno indipendente affacciato sul Mediterraneo e, nel contempo, uccide l’ultimo oppositore al suo dominio assoluto. È la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero.

Il Mediterraneo rimase un ‘lago romano’ per moltissimo tempo, ben oltre la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d. C.). Prima i Vandali conquistarono l’Africa settentrionale e ci rimasero per un secolo (439 – 534), finché non fu riconquistata dall’Imperatore romano d’Oriente Giustiniano e dal suo grande generale Belisario. La rottura definitiva avvenne con la conquista araba dell’Africa. Ogni volta che leggo di questa impresa sconvolgente la mia reazione è sempre la stessa.

622 EGIRA, ossia inizio dell’epoca mussulmana

709 completamento della conquista araba del Nord Africa

732 battaglia di Poitiers, gli Arabi arrivo fin nel cuore della Francia dove vengono sconfitti e respinti da Carlo Martello. Se avesse perso forse adesso in Europa avremmo i minareti invece dei campanili.

Ossia in meno di cento anni un popolo diviso in tribù di beduini e commercianti, privo di una tradizione militare e rimasto fino ad allora ai margini della storia, grazie alla conversione religiosa prende coscienza di se stesso e diventa una macchina da guerra inarrestabile. Che je voi dì?

Con la conquista araba del Nord Africa si chiude definitivamente la parabola Mare Nostrum perché il Mediterraneo, dopo quasi mille anni, da libero luogo di transito diventa frontiera. Una linea di confine ideale corre da Gibilterra a Gerusalemme, che divide mondo greco-romano-cristiano sopra e mondo arabo-semitico sotto, linea che ora i migranti nel canale di Sicilia, dopo più di mille anni, stanno cercando di cancellare.

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Il post Mare Nostrum: come un popolo di contadini imparò a nuotare, scritto da alepuntoacapo, appartiene al blog Così è (se vi pare).


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