Una comunità abbandonata a se stessa, adolescenti al limite che raccontano un’America depressa, personaggi alienati che si rifugiano quasi sempre nel sesso tramite il quale soddisfano un bisogno inappagato di comprensione. Questo, ed altro, è Marfa Girl, di Larry Clark, lo scandaloso regista di Kids, Bully e Ken Park che si aggiudica il Marc’Aurelio d’Oro per il miglior film in occasione della VII edizione del Festival Internazionale del film di Roma. Commenta, sorpreso e soddisfatto: “Non avevo mai vinto niente prima d’ora!”. Il regista, già eccellente fotografo professionista, punta nuovamente l’obiettivo sugli adolescenti, questa volta con una tenerezza ed un sentimentalismo che hanno rimpiazzato il cinismo, finora elemento distintivo nelle sue precedenti pellicole. Il bianco e nero lascia il posto a colori vividi e sgargianti.
Un film senza grandi pretese se non quella di raccontarci uno spaccato di realtà. Gli attori stessi sono parte integrante dei personaggi che interpretano. Ogni scena è il frutto di lunghe conversazioni con il regista, che si sostanziano infine in un unico ciak; quasi nulla di scritto nella sceneggiatura. Un film costruito giorno per giorno osservando tutto ciò che accade intorno al protagonista, Adam (nella vita Adam Mediano). Dialoghi lunghi come confessioni che fanno di ogni personaggio un microcosmo che riusciamo a spiare negli aspetti più intimi, indecenti, imbarazzanti. Non compare subito (ma forse neanche in seguito!) una struttura narrativa chiaramente riconoscibile; d’altronde l’intenzione non era quella di raccontarci un’unica storia. Il protagonista è essenzialmente ritratto nella sua quotidianità. Sesso, droga e qualche sfumatura di (pessimo!) Rock and Roll. Teenager studiati minuziosamente in tutti i loro drammi. Una vita disperata, adolescenti disperati, ma questa volta, meno disperati che in Ken Park. Un film paziente e a tratti filosofico in cui ogni personaggio ci racconta il suo rapporto con il sesso e con la vita. Una vita interna, così definita dal regista, della quale non siamo immediatamente a conoscenza, che emerge dai racconti dei protagonisti, ma solo in un secondo momento; sembra quasi che il regista voglia giustificarci le loro azioni ed il loro essere così “fuori dal mondo”. Finanche Tom (Jeremy St. James, uno dei pochi attori professionisti del cast), il più fuori di testa dei personaggi, sembra per un attimo confonderci con la sua storia disperata di sadismo adolescenziale. Noi riusciamo a capire il perché della sua follia! In una visione un po’ Cattolica della vita, per cui ogni fine è un nuovo inizio, tutti i drammi verranno espiati dai protagonisti nell’ultima scena, nella quale assistiamo ad un risanamento spirituale ad opera di una guaritrice new-age.
Marfa, cittadina del Texas e capoluogo della Contea di Presidio, è teatro di discriminazioni razziali verso i cittadini ispanici che pur vivendo in quel luogo da anni, vengono malmenati e continuamente arrestati senza motivo. È sede del quartier generale della polizia di confine, che non avendo ragioni concrete per pattugliare la città (il confine è distante oltre le 68 miglia!) occupa le sue giornate importunando nativi messicano-americani cresciuti lì. Ma è anche quel luogo in cui non è reato colpire un minore e i ragazzini nelle scuole vengono ancora sculacciati. Sembra di fare un tuffo nel passato entrando in un’altra epoca in cui i minorenni hanno il coprifuoco e i ragazzi devono convivere con le problematiche razziali ogni giorno. Anche questo è Marfa Girl.
Sesso, tanto sesso, senza alcun tabù, intenso, gioioso e vissuto come unica forma d’amore, d’interazione. Eloquente quanto basta per conoscere i personaggi. In ogni scena diverso, ed espressione delle diverse interazioni che si innescano. Sesso come espressione di sé, quello della Marfa Girl (Drake Burnette) formata da un padre hippie con il culto per l’amore libero; sesso come malattia quello di Tom, agente della polizia di confine, cresciuto da un padre violento dal quale ha conosciuto la sola ferocia come espressione d’amore. Forse l’unico personaggio più stereotipato del film!
E infine l’amore puro, ingenuo, impacciato, inesperto, sospirato, baciato, quello tra Adam e Inez (Mercedes Maxwell), innamorati anche nella vita reale, e che il regista è riuscito a riportare sullo schermo con estrema naturalezza.
L’evolversi psicologico dei due protagonisti sarà oggetto di studio del regista nei prossimi due anni, che nell’Aprile 2013, in occasione del loro diciassettesimo compleanno, darà un seguito a Marfa Girl, completando poi la trilogia nell’Aprile 2014, al compimento del diciottesimo anno di età dei due ragazzi. Tutto vuole essere il più reale possibile. Larry Clark vuole che lo spettatore segua la vita dei due ragazzi, la viva, al punto di filmarne i cambiamenti nei rapporti con se stessi e con gli altri al passare degli anni.
Un eccellente esempio di cinema d’essai, che come puntualizza il regista, sta ormai drammaticamente scomparendo negli Stati Uniti, per far posto ad un cinema-sociale, in cui quest’ultimo non è più il luogo fisico in cui gustare un buon film, un film d’arte, ma un più banale luogo di incontro dove guardare film Hollywoodiani di nuova generazione, di cui poter discutere con gli amici per non più di pochi minuti, e che nell’arco di una settimana saranno già vecchi e dimenticati.
Stanco di Hollywood, che definisce un gruppo di “ladri e imbroglioni”, Larry Clark filma totalmente in digitale, rimpiazzando la tradizionale 35mm (con un eccellente risultato!) e sceglie il solo Web per la distribuzione, aprendo il sito larryclark.com dove è possibile vedere il film al costo di $5.99 per 24 ore. A lungo ha osservato i nuovi media e le dinamiche di youtube (dichiara infatti di aver preso ispirazione da “Tyler the creator”) alla ricerca di un canale diverso, che andasse dritto verso le persone. E c’è riuscito!
A cura di Francesca Parisi