"Da dove nascono i bambini?" chiedono gli altri bambini. "Dalla pancia" risponde la mamma. Una delle domande più antiche è questa, che svela la curiosità inspiegabile circa il mistero della nascita, tradotto in semplici parole. Dico "mistero" perché, in fin dei conti, le domande intramontabili sul perché dell'esistenza si poggiano proprio sulla comprensione della nascita, oltre che sulla morte.
Dalla pancia nasce l'amore, dalla pancia si percepisce l'
elettricità delle emozioni, dalla pancia si crea la vita, quel naturale ciclico inspiegabile dannatamente miracoloso fenomeno che dà vita a nuova vita, dandoci l'illusione dell'immortalità. Ma questo meccanismo, al quale ci abituiamo dandolo per scontato, non è poi così meccanico, non è poi così scontato. E quando il corpo non può rispondere al desiderio di creare vita e dare amore a una piccola e indifesa creaturina, il mistero della maternità si vela di ingiustizia, di maggiore incomprensibilità."Quanta vita c'è in quella guerra?
Quanta morte c'è in questa pace?" Ventre è vita. Il parallelismo è talmente forte da annullare i limiti tra l'uno e l'altra, fino a farli coincidere. Non poter dare vita, per una donna, si traduce in morte interiore. Allo stesso modo, l'impossibilità della terra di poter garantire la vita si traduce in morte di un Paese. La pancia della mamma e la pancia della patria, madre anch'essa, si svuota. La sterilità è proprio questo: un vuoto. E la guerra non fa che riproporre quest'assenza, che accentuare l'ingiustizia, che renderti più affamata. Affamata di vita, d'amore, di poesia; affamata di ogni lieve soffio di ribellione contro l'aridità e la sterilità della guerra.