Margerita (o l’integrazione facile)

Creato il 22 ottobre 2013 da Lagrandebellezza @LaGranBellezza

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2013. Regia e sceneggiatura: Alessandro Grande; produzione: Adrea Santoro Alessandro Riccardi Alessandro Grande; Fotografia: Francesco Di Pierro; Musiche originali: Gianluca Sibaldi; montaggio: Claudio Pisano; Interpreti: Ionut Constantin, Francesca Valtorta, Marian Serban, Moni Ovadia.

Resta che la musica è bella perché sa di genuino, resta il finale che fa sorridere come sorride Marg(h)erita, resta un’ombra di descrizione sociale non stereotipata, forse idealizzata, ma oltre questo cos’altro?

Alessandro Grande, autore nel 2010 di In my prison che ebbe un discreto successo, conferma lo stile che già lì emergeva. Si occupa di temi sociali trattandoli con un certo buonismo, lavora sui pregiudizi, sulle icone (il coltello e la fune di In my prison, le facce sospette in Margerita che nel finale fanno pensare alla rapina), avviando un gioco con lo spettatore ribaltandone le aspettative.
Qui un giovane rumeno, solito a rapine, viene incaricato di entrare in casa di una “donna sola”, lui ne controlla gli orari, gli spostamenti, infine quando è il momento di agire ha avuto il tempo di affezionarsi alla ragazza, Margherita, per la sua puntualità e per il violino che si porta sempre dietro. Anche lui suona il violino, viene catturato da una registrazione che ascolta in casa di Margherita, decide di impararne il motivo e arrangiarla con altri musicisti del campo rom. Nel finale quando non ci si aspetta altro che una rapina, i ladri-musicisti hanno con sé gli strumenti e suonano il motivo mentre Margherita esce di casa, causandone lo stupore e il sorriso.

Il tono fiabesco ci sta, ma essendo un cortometraggio il risultato sembra avere troppo i caratteri di uno spot, di una pubblicità progresso sull’integrazione, o anche di un videoclip musicale. Essendo anche fondamentalmente un’opera sulla musica stona l’inserimento tra i pezzi eseguiti dal vivo di tanta musica extra-diegetica, d’accompagnamento. Le immagini son belle, si legano già bene da sole, non hanno bisogno di accompagnamento.
I risultati migliori si raggiungono forse nell’esordio: il furto sul tram è montato ottimamente, i piani totali si alternano bene ai ravvicinati, e il passaggio dallo sguardo dell’uomo derubato al ragazzo che corre è perfetto. Anche la ciclicità dei giorni del ragazzo espressa col ripercorrere le stesse strade è ben girata, come pure la favola scherzosa raccontata nel campo rom.
Spiace dire che la caduta di tono avvenga proprio quando in scena interviene Moni Ovadia, il maestro, figura non ben collocata, complice della brutta scena dello Stradivario e presenza ingombrante.

Un cortometraggio dunque disomogeneo, buono, forse ottimo, come prodotto televisivo da mandare in onda nel preserale per promuovere l’integrazione, ma certo fatica ad essere opera cinematografica. Bastava un po’ più di misura.

Per ulteriori informazioni: http://www.margerita.it

In my prison (2010): http://www.youtube.com/watch?v=oeoEWRkUUiM


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