2. «C’è una scenografia dell’attesa», continua Roland Barthes, «la organizzo, la manipolo, la taglio in piccoli pezzi di tempo dove posso mimare la perdita dell’oggetto amato e provocare gli effetti di un lutto in miniatura. Il tutto è interpretato come una pièce teatrale». L’attesa, fondamento del sentimento, delectatio morosa per eccellenza, pazzia dell’assenza e, di conseguenza, elemento atto ad incrementare il desiderio, rappresenta uno dei motori principali della narrazione. Il suo carattere mutevole e instabile infonde la suspense necessaria alla finzione, per stimolare la curiosità del lettore. Vero è che il tema dell’attesa è onnipresente nella produzione letteraria della Duras. Basta citare titoli come Dix heure et demie du soir en été, o Moderato cantabile, per rintracciare immediatamente quel senso indiscreto di stasi, di immobilità invadente, che divora lentamente e con scatti quasi impercettibili la narrazione. Il marinaio di Gibilterra non maschera però l’attesa, così come fanno soventemente gli altri testi, ma la rivela. L’attesa vuole la messa in scena di se stessa. È teatro del quotidiano, rappresentazione del lutto minimo, della perdita dell’io come conseguenza della perdita (momentanea oppure perenne) dell’altro.
3. Ancora Barthes: «Aspetto, e tutto ciò che si trova attorno alla mia attesa sembra improvvisamente irreale». Duras, a sua volta, esaspera l’attesa, vanifica il contingente e rende effimero il materiale. Nella sua narrazione, l’attesa ipertrofizza lo scorrere degli avvenimenti, ispessisce il tempo, intorpidisce ogni attimo. Il ritmo narrativo si dipana lento, nelle lunghe stasi che s’intercalano ai paesaggi, desertificati e assetati, sotto il sole estivo.
4. «L’essere che aspetto non è reale». L’essere desiderato, quando lo si aspetta, è idea, è proiezione. Il marinaio di Gibilterra non ha un nome e neppure un volto. Ha caratteri fantomatici e compare solo occasionalmente, quale attante, nel romanzo. È transfert, piuttosto. L’attesa rappresenta una tautologia intima, un crogiolarsi perpetuamente attorno ad un’idea. Il desiderio si manifesta puntualmente nell’assenza dell’oggetto desiderato, nella sua inaccessibilità. Il marinaio di Gibilterra è assenza. Perciò l’attesa è ossessione del non esperito, frustrazione dell’incompiuto.
6. «Un mandarino era innamorato di una cortigiana. “Sarò sua, disse lei, quando avrete trascorso cento notti ad aspettarmi seduto su di uno sgabello, nel mio giardino, sotto alla mia finestra”. Ma, il novantanovesimo giorno, il mandarino si alzò, prese il suo sgabello sotto il braccio ed andò via». Barthes volta le spalle all’attesa. A un attimo dal raggiungimento del proprio desiderio, ci ripensa. L’attesa implica il rifiuto, oppure si tramuta in qualcos’altro. È questa seconda ipotesi che ci presenta Duras. La sua protagonista continua ad aspettare. Lo fa, però, cambiando l’oggetto atteso: sostituisce un secondo desiderio al primo, immettendo sin dal principio della narrazione un uomo che lentamente, nell’essere partecipe della ricerca di Anne, inizia a condividere anche il suo amore, per interporsi finalmente ad esso. «Si aspetta sempre qualcosa», ci dice Duras, «quando l’attesa è troppo lunga, allora cambiamo e aspettiamo qualcosa che venga più in fretta».
Edizioni di riferimento:
Roland Barthes, Fragments d’un discours amoureux, Seuil, Paris 1977
Marguerite Duras, Le marin de Gibraltar, Gallimard, Paris 1952