Maria Pia De Vito: voce
Claudio Filippini: pianoforte, tastiere
Luca Bulgarelli: basso elettrico
Walter Paoli: batteria
Sono molti i gap che l’Imperatrice del vocal jazz italiano ha riempito in questa preziosa data al Roma Summer Jazz Festival. A cominciare dall’essere tornata nuovamente in concerto con la sua band di Mind the Gap, raffinato album del 2009 che conteneva pezzi composti e cover, da Hendrix a Björk. E noi che pensavamo di aver pagato il prezzo del biglietto per un semplice concerto, abbiamo avuto la fortuna di trovarci a una reunion, e assistere a una gioia vibrante, un’allegria complice che ha riempito il palco di sorrisi, occhiate, gesti e gioco.
L’altro gap è politico, sociale: la De Vito lo premette con forza dolce che c’è una distanza da colmare, una lacuna che diventa un guado: quello tra realtà e finzione, tra presenza e indifferenza, tra sapere e far finta di niente, tra agire e guardare migranti semivivi su un barcone. Presentando uno dei suoi pezzi originali, Zoobab De Ouab, cita McLuhan quando rimarcava che “narcisista” e “narcosi” hanno la stessa radice.
L’ultimo gap di cui lei è complice è quello di Roma con il jazz: questo festival è frutto di una volontà di seguire (in direzione ostinata e contraria) il desiderio di lasciare almeno UN festival jazz estivo alla capitale dopo la chiusura dei rubinetti comunali: il Roma Summer Jazz Festival è un atto quasi fideistico che il pubblico ha ricompensato con presenze costanti e folte, come questo di questa serata, caldo e affascinato.
Il repertorio era in effetti a prova di qualunque gusto, da brani originali a cover vecchie e nuove, dal cantato più classico e intimo ai giochi di voce e noise in loop gestiti in assolo da una donna che – come solo Stratos ha saputo fare in Italia – gioca e suona la sua voce come fosse uno strumento polifonico, piegandola a espressività che non scadono mai nel virtuosismo fine a se stesso. A prescindere dalle sue scelte stilistiche, ciò che lei comunica, anzi, dona, è una pienezza di essenza, un’autorevolezza assertiva, che per i miei personalissimi gusti si esprime al meglio quando i pezzi sono più distanti dalla tradizione.
In grande equilibrio la band: il giovane funambolico e giocoso pianista Claudio Filippini che, per dirne una, infila un accenno di My Favorite Things dentro If 6 was 9 di Hendrix, così per ridere, strappando grandi sorrisi a Walter Paoli, attuale batterista degli Area (il che ci fa tornare a Stratos), ricco di grande varietà e intensità di tocco, con cui Maria Pia duetta gustosamente in Zoobab De Ouab. Luca Bulgarelli, dulcis in fundo, trasmette una concentrazione quasi meditativa dal suonare, autoipnotica, facendo uscire dal suo basso elettrico tonalità profonde e inedite, soprattutto nel bellissimo assolo di Zoobab De Ouab.