Maria Pia Quintavalla. China

Creato il 22 giugno 2010 da Fabry2010

Di Nadia Agustoni

Parlando della propria opera Elsa Morante più volte accennò all’importanza di Menzogna e sortilegio, libro della costruzione del mito famigliare e non mancano nella nostra letteratura narrazioni ispirate a genealogie parentali, basti ricordare Natalia Ginzburg e a noi più vicina nel tempo Clara Sereni. China, Edizioni Effigie 2010, romanzo in versi di Maria Pia Quintavalla e ritorno alle madre e al suo mondo, si colloca in questo solco. La narrazione in versi nulla toglie in chiarezza al racconto (sei parti con un prologo), ma evidenzia ancora di più quel bordo di incertezza e assoluto dolore su cui certe vite si muovono. (1)
La morte e la vita, quest’ultima con le parole della tenerezza e con la dimensione della speranza, aprono Ospedale: “ Era questa una zona del tempo/ dove ruspe per l’aria, e macerie/ cadevano per terra come stelle fitte,/ pezzi di realtà volavano cedevano/ senza dolore: mia madre era morta […]”; la perdita situa la voce narrante in una zona del tempo, non nel tempo-spazio integro che crediamo di avere a disposizione e il poeta ascolta come se fosse distante: “ queste nuove ascoltavo,/ come da un’altra sponda”. Le poesie dell’intera sezione, in tutto quindici, sono l’attesa del miracolo del riconoscimento. Affidando ai gesti il non detto: “ […] quelle ore di carezze immobili”, ricordando un passato non libero dal male, la voce chiede riparazione e torna a quel destino che la benedizione finale riscatta come : “ un testamento a cielo aperto” . Solo vicino alla morte China, madre che non rivela il proprio segreto, può con parole scarne, ma proprio per questo più tremende, chiedere perdono. La morte la lascia senza riparo e nel momento in cui è più esposta, davanti al pericolo, la voce che trova sembra redimere qualcosa in lei e in chi ha intorno. Madre e figlia scrivono insieme il testamento degli affetti e la dimensione di una casa che non abita spazi e mura, ma un segno che è mondo e trascrizione del ricordo.
Il libro è un altro “album” con figure (2), che appaiono con i loro nomi e sembrano compiere un’opera di cui ci sfugge il senso ultimo; forse è la loro precarietà e quel loro passare a instillare poesia nell’evento minimo che accade e che viene colto da chi le guarda: “ Venne in visita Elena, la cugina, / le additasti me all’altro capo del letto.” Oppure le parole raccontano solo quello che è stato e lo fermano perché chi le trova possa percepire ancora più profondamente il vuoto di quanto non c’è più. E’ così che l’infanzia, il padre, la sorella, i fratelli della madre, sono consegnati a una scrittura che sembra volerli riempire di luce, proprio perché luce non sono mai stati, piuttosto presenze come sulla soglia di qualcosa che non è potuto avvenire. In tutto questo, sprazzi di un’infanzia emiliana, pur bellissima nella furia di darsi e in quell’io acerbo che vorrebbe un bene grande per ognuno, escono all’improvviso allo scoperto, mostrano come su un cartoncino versi di bambina:” le antiche vigilie/ i cuori appesi ” .
Quello che Gina/China dona alla figlia è il suo sguardo doppio; sguardo con cui la cova: “ Ti ho fatta io!” e che porta in sé memoria di offese, di servaggio che conta come “nullo” il suo/proprio destino.
Eppure, anche leggendo e disapprovando i temi scolastici dell’adolescente Maria Pia, non le proibisce di scrivere. Il falò dei libri di scuola, stranamente compiuto dal padre insegnante, segna la fine dei sogni e rende consapevole la ragazza che altre parole dovranno essere dette, ma non subito.

In “Milano, poi” , China è una presenza, nella sua forza pur reale, quasi di orfana. Il rito del coprirsi contro il freddo, le ricette o le canzoni amate la riportano a una quotidianità di luoghi e a un fare ordine che è prima di tutto bisogno di riti, di un compiersi psichico che le dia una certezza nell’incerto mondo che le nuove generazioni sembrano rivendicare. E’ così che una vacanza al mare segna quasi il tempo dell’addio. Il declino comincia con i passi che si fermano: la spiaggia e il mare solo intravisti come orizzonti che le mancano. Solitudine e ricordi la lasciano negli anni con le sue leggende.
Infine, dopo i giardini di Parma, è ancora l’Adriatico ad aprire il tempo e l’immagine del suo mare.
E’ questa provincia che il lettore attento può cogliere; stagioni che sembrano chiedere ragione di ogni tristezza eppure portano tristezza e il ricordo di paesi, di strade e di parole. Ed è con gli occhi di un altro poeta che spaesati ci fermiamo davanti a qualcosa che può sembrarci insopportabile per la profondità con cui ci raggiunge:
“ Sembrava di arrivare in un paese di provincia, in qualche posto sconosciuto, insignificante – forse al paese natale, dopo anni di assenza. Questa sensazione non era dovuta minimamente alla mia anonimità, all’incongruenza di una figura solitaria sui gradini della Stazione: un facile bersaglio per l’oblio. Ed era una sera d’inverno. E ricordai il primo verso di una poesia di Saba che in giorni lontani, in una presedente incarnazione, avevo tradotto in russo: In fondo all’Adriatico selvaggio…[…]” (3)
Maria Pia Quintavalla con China segna un’altra tappa del suo lungo percorso in poesia e si aggiunge ad altri poeti che hanno scritto sul tema della madre, Mariella Bettarini e Livia Candiani e si potrebbe pensare a “Magnificat” di Cristina Annino, ma solo apparentemente, giacché in questo caso le motivazioni drammatiche sono inscindibili dalla stessa genesi della sua intera azione poetica. Voce che non si arrende all’inutilità dei tempi, Quintavalla scava nel proprio dolore chiedendogli un significato. Ai ricordi, più che di fermare il passato, domanda con parole forse atroci nel loro indifeso desiderio, una visione: “ Spesso dal bordo di una cartolina/ dalle curve collinari e le viti marroni, ho sognato/ lo sfondo ideale di una famiglia.”

Note:

1) Maria Pia Quintavalla, China, Edizioni Effigie 2010.
Il libro ha oltre al “Prologo” sei sezioni:
I parenti, il perdono; Il decalogo di una bambina; interni, totem; Milano, poi; Parlavi per intonare una tua antica voce; A sud, speranza.

2) Rimando al saggio di Luigi Metropoli su Album feriale, libro dove già Quintavalla affrontava il tema della famiglia. Il saggio in tre parti è pubblicato qui.

“Questo procedimento mi conduce per analogia ad una bellissima opera di tutt’altra natura: Nuovo romanzo di figure di Lalla Romano. Beninteso, la silloge della Quintavalla è una costruzione di sole parole, mentre il libro della Romano presentava una peculiarità: fotografie con in calce un breve commento, tale che per l’autrice le foto rappresentassero il testo, mentre le brevi didascalie in prosa ne erano un contorno, un’illustrazione, com’ella stessa ebbe a spiegare nell’introduzione alla prima stesura del libro che recava il titolo piuttosto indicativo: Lettura di un’immagine.”

3) Iosif Brodskij; Fondamenta degli incurabili, pag. 12, Adelphi 1991



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