Maria pia quintavalla, “i compianti”

Creato il 19 aprile 2014 da Postpopuli @PostPopuli

di Giovanni Agnoloni

I versi di Maria Pia Quintavalla raccolti ne I compianti (ed. Effigie) seguono schemi e risonanze che sanno d’antico. E per “antico” non intendo qui né “classico” né tanto meno “vecchio”, come se fossero demodé. Intendo dire, invece, che segnano un tempo tutto loro, figlio di una partitura interiore, dove ogni verso somiglia a una battuta di pentagramma. Viaggiano sul filo della memoria, quella del padre ormai assente: dunque, per lo più, una memoria intima, benché rifiltrata e rielaborata attraverso figure compositive che sanno – queste sì – di stampa antica, elegante e appartenente a una dimensione che fuori del tempo.

“È nella croce antica di una chiesa
a sorseggiare ancora sotto la volta
che riempita d’acqua si formò fontana
di una Parma antica.
e pioppi restano a guardare,
il monumento a Verdi travagliato dalle bombe
ostenta il pezzo suo migliore,
riesce a trasmettere un sipario
che ti rappresenta, che cammina.”

Mi viene quasi da pensare che la loro sia una sostanza minerale, perché della pietra hanno i riflessi discreti e quasi nascosti, che la luce di una lettura posata riesce a cogliere nella loro musicalità silenziosa. In questo, penso si possa affermare che la poesia di Maria Pia Quintavalla possieda una misura prosaica, anche qui in senso particolare. Siamo indubbiamente di fronte a una raffinata espressione poetica, nella forma e nella sostanza, ma il metro interiore è più vicino a quello di un poema descrittivo, che segue, come ricalcandole attraverso una sorta di carta velina, l’andamento delle emozioni di cui parla – che sono il vero protagonista di quest’opera.

“Tu sei là, fermo o ambulante
come la luce -
che sosti pensieroso prima di una partenza
quel flettersi genuflesso delle foglie
che non vorremmo esistere (…)”

Permane un senso di totalità, di holos umano-ambientale, dove lo sguardo della Natura è onnicomprensivo e racchiude sguardi umani e paesaggio, in un reciproco riflettersi e compenetrarsi che rende indistinguibile la fonte, il punto da cui è partito tutto. Questa è perciò, indubitabilmente, poesia in medias res, perché ci cala – e nasce già calata – nella vita in corso, all’interno della quale si “paracaduta” per cogliere un guizzo di significato, che rimandi a un oltre che è già qui, sia pur trascurato, ma in attesa.

“Padre che non sei mai partito affatto
un giro di memoria non si stacca,
ma che viandante ci sorridi additando
le colline che suonano soavi l’orizzonte
in un gesto più segreto il riso
lo incoronano di strisce blu e marroni (…)”

Per saperne di più consulta l'articolo originale su: