Il libro di cui voglio parlare adesso non è recente (2005), non credo sia facile da reperire (ma certo lo troverete qui), è decisamente troppo caro. Ma vale senz’altro la pena dileggerlo, e potrà darvi, come ha dato a me, un gran piacere. Non è un romanzo ma la biografia documentata e appassionante, pur nel nulla di cui si compone, di Maria (Mariù) Pascoli, 1865-1953, la sorella del titolo del più lacrimoso tra i nostri tre tromboni poetici tra Otto e Novecento, Carducci Pascoli D’Annunzio. Anche il più apprezzato dalla critica attuale (diciamo pure l’unico ancora preso sul serio) per il suo sperimentalismo, il superamento di retorica e classicismo, la vicinanza a movimenti europei come simbolismo e decadentismo. Anche il più insopportabile, diciamocelo pure, con i suoi cocchi freschi e le rondini che fanno videvitt e i pigolii di stelle e Zvanì e le mamme che piangono e le culle che dondolano. Ma non è solo questo. Anche se ha contribuito a ammorbare la mia giovinezza liceale, mi ha sempre colpito e un po’ affascinato la sua morbosità. Quel gran trafficare con i morti, frequentare tombe, le estreme unzioni, l’erba che nasce sulle fosse, e i fantasmi, le tessitrici defunte, i morticini con i boccoli biondi eccetera, e soprattutto la morbosità sessuale che salta fuori tra un decesso e una campana a morto. Rileggetevi Digitale purpurea e Il gelsomino notturno e ne riparliamo. Poi ho visitato la casa di Castelvecchio in Garfagnana (anche questa vale la pena, se passate da quelle parti non perdetevela, vi darà da pensare e anche qualche brivido; ad esempio, tanto per tenersi allegra, Mariù vi ha ricostruito la camera dov’è morto il fratello a Bologna, intatta e completa) e mi è venuta una gran curiosità su Mariù che vi è vissuta prima con Giovanni, poi, dopo la morte del fratello nel 1912, da sola fino al 1953. Vestale e custode delle memorie del poeta, testa quadra, lagnosa e tentata dalla poesia in proprio, bigotta, pochissimo aperta ai rapporti umani al di fuori della coppia fraterna di cui è protagonista, attentissima ai soldi. Lui, in compenso, agnostico, massone e alcolizzato, ma sempre lì a dire le orazioni prima di dormire per far contenta la sua Mariucchin. Tutto ciò per spiegare che, appena ho visto il volume di Maria Santini sul banco, mi sono precipitata a comprarlo. E ho fatto benissimo, perché me lo sono goduto pagina per pagina fino alla fine. Ha anche un ottimo paratesto, note e bibliografia, una piccola appendice di poesie citate, e un prezioso albero genealogico. Perché la parte più interessante è proprio l’origine di tutto quanto detto prima: c’è un motivo dietro alle lacrime e alla chiusura dei due Vergini, come definiva sé e la sorella lo stesso Pascoli. Basti dire che dei dieci fratelli Pascoli rimasti orfani di padre per la famosa fucilata a colui che non ritorna e di madre per crepacuore, una morì a dieci mesi, una a cinque anni, uno a diciassette, una a diciotto e uno a ventiquattro, già padre di un bambino e mezzo, entrambi (l’uno e il mezzo) destinati a morire infanti. E di altre morti premature è costellata la vita dei due Pascoli, sia in famiglia che tra gli amici. L’infanzia e la giovinezza di tutti i fratelli superstiti fu terrificante, tra ristrettezze economiche, conventi, collegi e solitudine, ma qualcuno ne uscì meglio e altri peggio. La vita di Mariù fu tutta spesa all’ombra del fratello, condizionata dall’ideale del nido all’inizio condiviso anche con la sorella Ida, poi fuggita per sposarsi (con la conseguenza che Giovanni andò completamente fuori di testa), di cui divenne in seguito inflessibile sacerdotessa, tanto che persino gli altri fratelli ne vennero esclusi. Seguì Giovanni in quasi tutte le sedi in cui andò a insegnare, fu colei che gli faceva bella la vita (e secondo molti, anche quella che gliela rovinò dando in smanie in occasione dei fantomatici fidanzamenti di lui). Fu persino adombrata la possibilità di un rapporto incestuoso tra i due, risolutamente smentita dall’autrice che si appoggia sempre su lettere e altri scritti dei protagonisti, fortunatamente dei gran grafomani. Un altro difetto del libro, assolutamente giustificato dal fatto che è la biografia di Maria, è che ci rimane molta curiosità di saperne di più del punto di vista di Giovanni, soprattutto sulla famosa crisi di disperazione per il matrimonio di Ida, o lasciatemelo dire, sulla verità della sua vita sessual-sentimentale. Insomma un libro colto, documentato, scritto benissimo, interessante, e che ci permette di lasciarci andare al piacere del gossip pruriginoso senza dovercene vergognare, perché quando si tratta di un poeta e sua sorella anche i pettegolezzi diventano cose serie, no?
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