Maria Stuarda di Gaetano Donizetti (dir. Fabrizio Carminati)

Creato il 09 aprile 2012 da Spaceoddity

Maria Stuarda (1835, su libretto di Giuseppe Bardari da Friedrich Schiller) è forse l'opera meno fortunata nel trittico di regine portate sulla scena da Gaetano Donizetti(Bergamo 1797-1848). Ovviamente, come nel Roberto Devereux, spadroneggia Elisabetta I, ma Maria Stuarda, regina di Scozia, è, ancora più che la protagonista eponima, sovrana morale. È un fatto, comunque, che il compositore aveva una spiccata predilezione per il ritratto nel momento del declino, per cui altre qualità prevalgono a giustificare i riflettori, prime fra tutte le forza personale contro un destino avverso e la nobiltà d'animo.
Prevale la musa tragica, insomma, per quanto una cosa simile si possa dire di Donizetti, sempre pronto a riutilizzare senza scrupoli tempi veloci e melodie delle sue opere leggere, intrecciandole in titoli più impegnativi e drammatici. L'opera è piuttosto convenzionale sul piano drammaturgico per il primo Ottocento, manifestandone pregi e difetti. Di contro, è anche uno di quei titoli che io ho ascoltato di più, per cui nel sentirlo seguo una mia partitura mentale, ho in mente sempre qualche voce particolare. Nel caso di questa ripresa al Teatro La Fenice di Venezia del 2010, però, posso dirmi soddisfatto di quello che ho ascoltato, sicuramente più che per l'altra Stuarda in video con lo stesso direttore e la stessa regina d'Inghilterra.
Fabrizio Maria Carminati riconosco un'eccellente cura nei dettagli timbrici, ma la musica stenta talvolta ad elevarsi a potente guida nell'azione, anche se il dono della sua bacchetta consiste nel creare l'amalgama tra le voci, e poco importa se queste sono diseguali nelle prestazioni: Orchestra e Coro del Teatro La Fenice reagiscono nel migliore dei modi e anche le prove meno felici trovano uno sbocco positivo. Proprio l'emiliana Sonia Ganassi, per esempio, che ho avuto la fortuna di ascoltare dal vivo, mi è sembrata in quest'occasione un po' legata, meno fiammeggiante, come presa dalla fatica del ruolo di Elisabetta, che pure lei ben padroneggia. Spero di risentirla ancora al meglio delle sue possibilità.
Ricordavo più brillante e luminoso nel timbro anche il catalano José Bros (tra i miei preferiti nella parte di Edgardo nella Lucia di Lammermoor), qui interprete di Leicester, ma le agilità ci sono e il carattere stereotipato del tenore donizettiano è quello e il cantante gli dà la vita che ci si aspetta da lui. D'altra parte, non ho mai avuto la fortuna di sentirlo dal vivo, quindi l'effetto può variare da incisione a incisione. Di bella presenza e convincente sul piano vocale, il profondo Talbot del romagnolo Mirco Palazzi, peraltro anche buon attore, se si considerano le circostanze infauste dello spettacolo.
La protagonista, la friulana Fiorenza Cedolins, merita un discorso a parte. L'ho sentita cantare più volte dal vivo a Palermo, con esiti non sempre memorabili, ma comunque con un altissimo tasso di serietà professionale. In quest'occasione, direi che la cantante ha dato una prova molto valida: il timbro è rimasto bello, agile, la capacità di piegarlo alle esigenze e di guidare l'insieme delle voci in prove - come i concertati - senz'altro più che riusciti. Eccellente anche nelle arie che Donizetti ha regalato al ruolo, forse si stanca solo alla fine, nelle preziose e commoventi variazioni dell'aria conclusiva della Stuarda (Ah, se un giorno da queste ritorte).
La nota dolente di questo spettacolo, forse l'unica che non ammette alcuna remissione di colpa, è la regia. E poiché scene e luci sono firmate sempre daDenis Krief, non ho occasione di diluire o sfumare l'impressione negativa che invade lo spettatore di fronte a un simile scempio. Se l'idea di fondo, quella del correlativo oggettivo di un labirinto di passioni, può essere considerata un evergreen, disorienta l'impressione di cantanti lasciati allo sbando nella scenografia come topini in gabbia o in un quadro alternativo di Pacman. È un'idea senza sviluppo, senza conseguenze, salvo un progressivo dilagare del vuoto tra gli spazi obbligati del labirinto. Forse difetto in fantasia, ma non arrivo a comprendere nulla di nuovo sullaMaria Stuarda da questa regia e pertanto l'avrei senz'altro preferita in forma semiscenica: allora sì, mi sarei goduto un bello spettacolo!Pubblicato da Roberto Oddo 10:18 PM 


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