Maria Teresa Marchionni, Lorenzo Viani – “Testa di Leone”

Da Paolorossi

Viareggio – Monumento a Lorenzo Viani sul Lungomolo Corrado Del Greco

Lo vidi per la prima volta impegnato furiosamente insieme ai suoi, quelli della «Camera del Lavoro» a menar botte da orbi. Avevano avvertito il proprietario di quel Caffè, di far eseguire l’Inno dei Lavoratori. Fu eseguita la «Marcia Reale». Si videro quei ragazzi irrompere fra la gente acclamante, facendo nascere un parapiglia fragoroso di urla, vetri infranti, bicchieri rotti, signore svenute, e di qualche testa rotta. In quel finimondo, nascosta, vedevo una testa apparire e sparire, una testa dai capelli a zazzera, gli occhi grifagni, il naso aquilino e la bocca atteggiata ad un sorriso satanico dal piacere di menar botte. Sembrava la testa di un leone inferocito. Ne fui spaventata, terrorizzata, tanto che quella scena mi rimase impressa per lungo tempo.

Lo rividi in quel famoso Caffè, io ero ormai una giovanetta. Trascorreva i pomeriggi sbadigliando e sonnecchiando insieme ad altri due pittori, dato che in quel locale aveva allestito una mostra.

“Ti conosco fin da quando eri una bimbetta” mi disse.

Gli raccontai la scena di quella sera, del terrore che provavo a ricordarlo e del soprannome che gli avevo messo, «Testa di Leone». Ne ridemmo insieme e diventammo amici. Ormai Testa di Leone era domato e non mi faceva più paura. In quel periodo la gente cominciava ad assefuarsi ai suoi dipinti, al nuovo stile, alla nuova impronta, comprendendo lo spirito. I suoi soggetti parlavano di  povera gente affamata, sbrindellata, donne di darsena,  figure allampanate vestite di nero, dai ventri pregni,  con lo sguardo rivolto al mare infido, in attesa del proprio « omo », oppure figure miserabili di compagni suoi, nella grande Parigi.

 […] Attenta, lo ascoltavo parlare dolce e sorridente anche nel ricordo del periodo incompreso… Qualche volta lo accompagnavo per le strade, o lungo il canale dove al sole invernale si asciugavano le reti delle paranze. Ci fermavamo spesso dalla donnina delle mondine fumanti, oppure si andava verso i monti, lungo le strade parallele, nella parte del paese vecchio.

Ricordo un pomeriggio rigido. Aveva le mani affondate nelle tasche del cappotti marrone chiaro, la testa affondata anch’essa nelle spalle, il labbro superiore rientrato. Lo guardavo. Silenzioso e triste continuava a camminare come ignorandomi. Ad un tratto mi disse:

“Senti questo odore? E’ quello della nostra gente.”

Altrochè se lo sentivo, era l’odore delle cicale arrostite alla fiamma dei pinugliori. Le sue narici si dilatavano, ma rimaneva triste. A cosa pensava? Forse alla sua dura infanzia di ragazzo povero e malnutrito.

“Ti piace il vino?”

“Si, che mi piace.”

E così entrammo in una mescita di via Sant’Antonio, ridendo come due ragazzi spensierati che avessero marinato la scuola. Quel vino frizzante mi rianimò riscaldandomi.

 Passarono gli anni, seppi del suo matrimonio. C’incontrammo un giorno sul vecchio tranvai.   […] Com’era cambiato! La sua espressione un tempo aggressiva, si era addolcita. Mi disse che sarebbe venuto l’indomani a farmi il ritratto. Rimasi stupita, senza capacitarmi, cosa avesse trovato d’interessante nel mio viso irregolare. Dopo aver posato per pochi minuti, mi consegnò il foglio ridendo. Rimasi mortificata e delusa, si era preso gioco di me; aveva accentuato la forma triangolare del viso, prolungato il collo a forma di coda, sì da farlo sembrare un serpentello. Stizzita lo strappai e lui se ne andò ridendo.

Il giorno dopo nel suo studio volevo scusarmi.

“Non fare la bimbetta, avevi ragione. Tieni facciamo la pace.”

Mi dette una sua fotografia. […] Il suo tavolo da lavoro era un’accozzaglia di cose, che solo lui poteva rinvenircisi. Lo chiamava «il suo ordine» e in quell’ordine mi mostrò alcune lettere del Carducci e di Roccatagliata.

Fu questa l’ultima volta che lo vidi.

Viareggio – Monumento a Lorenzo Viani sul Lungomolo Corrado Del Greco

[…] Ti rivedo dopo tanti anni all’inizio del Molo. La nostra gente ha voluto immortalare la Tua immagine nel bianco marmo della Apuane. Il tuo sguardo è rivolto alla darsena, la darsena della tua infanzia, impregnata di pino e di pece. Udrai mugghiare il mare e sibilare i venti, ma i tuoi capelli non si scomporranno alla violenza del libeccio, si da sembrare la testa leonina, così come apparve alla bimba in quella sera.

Come allora, ho percorso le vecchie strade; son cambiati i nomi, non più « Via della Luna  », « Via della Stella ». Le case sono cresciute di qualche piano, dai loro comignoli non si sprigiona più l’acre odore delle « cicale », non vi è più la donnina delle mondine all’angolo del « Mercato Vecchio », neppure la mescita affumicata di Via Sant’Antonio, spazzata dalla guerra insieme alla Chiesa di S.Francesco, ricostruita ora più grande, più bella forse, ma certo assai fredda.

[…] Il tempo ha cambiato tante cose. Ricordi il serpentello irrequieto? Anche lui è cambiato, invecchiato, ora… non morde più.

( Maria Teresa Marchionni, Testa di Leone – Viareggio Ieri, Anno 3-Numero 7/12 – Luglio/Dicembre 1966 )

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