Non dunque la nitidezza e l’eloquenza dell’Annunciata di Palermo, dipinta da Antonello da Messina, con quel volto che esprime la compiutezza di un’identità ben definita, bensì la “Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite” quale è la Pietà Rondanini in cui Michelangelo si arrovellò negli ultimi istanti della sua vita.
Michelangelo – Pietà Rondanini
Ispirandoci a questi due capolavori e facendo ricorso all’allegoria, potremmo tentare di definire Maria, prendendo in prestito dalla prima di queste due opere il libro poggiato sul leggio, le cui pagine come mosse da un soffio di vento lasciano scorgere una frase che alcuni studiosi ritengono sia l’incipit del Magnificat. Magnificat è la prima parola del cantico che Maria sciolse incontrando la cugina Elisabetta, una delle pochissime parole che i vangeli le concedono di pronunciare. Non conosciamo il contenuto delle altre pagine di questo libro posto dall’artista davanti a Maria (probabilmente uno dei libri sacri del popolo ebraico), ma ci piace vedere in quella sola parola che riusciamo a leggervi l’incipit di un libro tutto da scrivere, come di fatto accadrà e continua ad accadere da duemila anni a questa parte. Dalla seconda opera ci piace trarre quei due corpi (Cristo e Maria) fusi in un tutt’uno inscindibile, appena abbozzato e perciò carico di un potenziale in divenire, in cui c’è ancora materia a sufficienza da plasmare, in cui è possibile conferire ai soggetti infinite sembianze e personalità, e dove non si esauriscono i messaggi, le interpretazioni e i significati che ciascuno vuol trovare.
A giudicare dalle scarne e contraddittorie notizie riportate, la Maria dei vangeli (quelli canonicamente riconosciuti) altro non è che lo schizzo di una figura appena tratteggiata, l’accenno di un personaggio necessario affinché si realizzi un destino che ha dello straordinario. Lo spazio che occupa nelle scritture appare inversamente proporzionale al grande ruolo che è chiamata a svolgere. Sembra addirittura di leggere una certa reticenza a parlare di lei negli autori di quei libri grazie ai quali il suo nome è passato alla storia [4] Eppure, la forza e l’efficacia della sua figura risiedono forse proprio in quella sua indeterminatezza, in quell’apparente inconsistenza, in quella presenza-assenza che ci permette appena di scorgerla. I pochi accenni che i quattro vangeli fanno a lei, costituiranno solo l’incipit di una sterminata mole di libri che su di lei saranno scritti da autori d’ogni tempo e d’ogni ambiente. Al pari, artisti d’ogni tempo e luogo daranno a quel suo ventre privilegiato un corpo e infiniti sembianti; conferiranno un carattere e una personalità cangianti di epoca in epoca, fornendo di volta in volta immagini capaci di esprimere attraverso di lei ogni umana condizione, ogni più recondito sentimento, la somma bellezza quale è possibile contemplarla in una creatura che si colloca tra l’umano e il divino.
Ragazza ebrea appena adolescente e già promessa sposa di un uomo a quanto pare molto più vecchio di lei, Maria, fecondata non da uomo ma dallo Spirito Santo, darà alla luce un figlio conservando intatta la sua verginità; quel figlio portato in grembo per nove mesi e partorito presso un’umile stalla sarà il Re dei re [5]. Per mezzo di tale singolare evento, pur essendo una comune creatura, diviene la prescelta da Dio quale sua sposa e madre a un tempo. Ci troviamo qui davanti a uno dei concetti teologici più complessi e controversi mai elaborati, che pone Maria in una triplice unione con Dio, poiché questo Dio che sceglie il suo ventre per farsi uomo tra gli uomini, è a sua volta costituito da tre distinte persone (Padre, Figlio, Spirito). In relazione a questa triplice divinità, forse un po’ troppo semplicisticamente, potremmo definirla figlia del Padre che l’ha creata, sposa dello Spirito che l’ha fecondata, e madre del Figlio che mette al mondo; se non fosse che queste tre personificazioni, pur distintamente evocate, sono per ìpostasi consustanziali l’una all’altra, e perciò da intendersi come entità unica e disgiungibile. Dunque Maria è per mezzo di Gesù figlia, sposa e, soprattutto, madre di Dio medesimo. È questa privilegiata maternità a porla al di sopra di ogni altra donna vissuta prima e dopo di lei; al di sopra di tutti gli angeli e i santi. Più difficile stabilire quanto invece la sua figura sia posta al di sotto di Dio stesso, a giudicare dagli atti esteriori presso certe chiese cristiane (quella cattolica in particolare). Ci addentriamo qui nel variegato mondo della pietà popolare in primis, e in quel prolifico territorio della teologia che del primo tanto spesso si nutre. Dai dotti teologi della Chiesa, Maria è stata investita a posteriori di ben quattro dogmi che la rendono,
A questi proclami che in quanto dogmi non ammettono replica, si aggiungano le oltre trenta celebrazioni mariane all’anno, le tante preghiere, invocazioni, orazioni; le ben centocinquanta avemarie del rosario (di recente salite a duecento con l’aggiunta di nuovi “Misteri”), e ancora le Litanie lauretane, le antifone, i canti; impossibile enumerare le varie forme devozionali di cui è fatta oggetto, i tanti titoli con cui è venerata, le chiese, i santuari e i tantissimi luoghi a lei intitolati; ovunque vi sono paesi, città, regioni, intere nazioni poste sotto il suo patrocinio; e non si contano neppure gli ordini religiosi, le associazioni, anche laiche, che portano il suo nome. Come archetipo femminile e materno, in lei e intorno a lei c’è sì, anche e soprattutto, un cospicuo deposito di ataviche tradizioni della religiosità pagana legate al culto della Grande Madre; e per molti aspetti, nelle prerogative così come nell’iconografia, conserva ancora evidenti i tratti ben riconoscibili delle antiche divinità
In definitiva, una donna che, perso ogni tratto della sua concreta umanità, diviene figura eterea, celeste, divinità essa stessa, assisa quasi persino al rango del suo Creatore. Ecco allora che quei due corpi uniti e disgiungibili della Pietà Rondanini cui facevamo riferimento all’inizio di questa trattazione, diventano la raffigurazione, diremmo meglio il simbolo, di due figure, Gesù e Maria, ormai completamente fuse l’una all’altra; compenetrate, fagocitate dalla stessa materia umana e divina, folklorica e teologica, concreta e fantasiosa di cui son fatte. Negli scritti evangelici, come nella scultura michelangiolesca presa come spunto, c’è l’incipit, l’abbozzo appena accennato; c’è sempre nuova materia da plasmare e spazio per ogni ripensamento.
Giuseppe Maggiore
NOTE
1) La storia di Gesù di Nazareth è riassumibile in quegli ultimi tre anni di vita in cui svolse il suo ministero pubblico e che si conclusero con la condanna a morte per mezzo della crocifissione, sotto il prefetto romano Ponzio Pilato. Dei trent’anni di vita che precedettero gli straordinari eventi che caratterizzarono la sua predicazione e la sua morte, poco o nulla si sa. Le fonti testuali relative alla sua figura sono essenzialmente due: la più antica, costituita dalle lettere paoline, scritte da Paolo di Tarso tra il 51 e il 63 (autore che peraltro non conobbe personalmente Gesù), la quale fornisce pochi dati utili al fine di ricostruirne un profilo storico, e i quattro vangeli cosiddetti canonici, tradizionalmente attribuiti ai nomi, fittizi, di altrettanti autori (Matteo, Marco, Luca, Giovanni), che invece forniscono dettagli della vita pubblica di Gesù, ovvero dei suoi tre anni di ministero. Di questi testi, i primi tre, noti come sinottici, sono stati scritti nella seconda metà del I secolo, e l’ultimo tra la fine del I e l’inizio del II secolo, ovvero molto tempo dopo dei fatti cui si riferiscono. Più che una testimonianza diretta, ci troviamo di fronte a delle fonti che riportano notizie tramandate fino allora solo oralmente o attraverso degli appunti di autori ignoti. Pur trattandosi di uno dei personaggi più noti della storia, e nonostante sia vissuto in un tempo storico relativamente recente, la vita di Gesù di Nazaret, rimane per lo più avvolta nell’ignoto. Incerto l’anno della sua nascita (oggi convenzionalmente fissata tra il 7 e il 2 a. C.), incerto il luogo ove ebbe i natali (Betlemme o Nazaret), incerto, quindi, l’anno della sua morte avvenuta a Gerusalemme (il 26 o 36 d.C.). Davvero scarne, e talvolta contraddittorie, le notizie riferite alla sua nascita e alla sua famiglia, riportate dai primi tre vangeli e assenti del tutto nel quarto. Per avere maggiori notizie bisogna affidarsi ad altre fonti (quali i vangeli apocrifi, quelli gnostici, o quelli cosiddetti dell’infanzia e della passione), databili a partire dalla metà del II secolo, che però non godono di nessuna attendibilità presso gli studiosi, trattandosi di racconti dall’evidente ispirazione fantasiosa e leggendaria. Tuttavia, i moderni studi concordano nel dare credito alla reale esistenza di un Gesù storico, e ciò grazie anche a metodologie incrociate che hanno portato a trovare dei riscontri tra gli indizi rintracciabili in questi scritti e il rinvenimento, ad esempio, di reperti archeologici; qualche accenno a Cristo e alle prime comunità che si rifacevano ai suoi insegnamenti è inoltre rintracciabile in alcune fonti non cristiane di autori greci, romani e ebrei, risalenti in gran parte al II secolo.
2) Questo sembrano suggerire i vangeli. Questo sembra sottolineare a più riprese (in quelle pochissime circostanze in cui si ritrovano insieme), l’atteggiamento di estraneità con cui il figlio stesso, Gesù, le si rivolge, sia personalmente che pubblicamente (“Donna che vuoi tu da me?” “Che c’è tra me e te, o donna?”). Un atteggiamento di radicale distacco e estraneità che non lascia intravedere e che non ammette alle sue spalle nessun tenero quadretto familiare da “Sacra Famiglia”, e questo già da quando lui, appena adolescente, si lascia alle spalle i propri genitori per disquisire di sacre scritture con i saggi del tempio di Gerusalemme (“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Lc, 2:41-52). Un senso di estraneità e incomprensione che scopriamo d’altra parte reciproca, quando sorprendentemente leggiamo “Ma essi non compresero le sue parole”. (Ibidem).
3) La stessa figura di Gesù ci viene descritta attraverso gli atti che lui compie, senza minimamente accennare al suo aspetto, alla sua concreta fisicità, né tanto meno viene fatto per gli altri protagonisti delle vicende narrate.
4) Nel dettagliato racconto della passione di Cristo, nessuno dei quattro evangelisti mostra di avere verso di lei la dovuta considerazione; nulla è concesso di quanto legittimamente ci si potrebbe aspettare dal ruolo di una madre, e di una madre di siffatta statura. Ciò che conta, nei vangeli, è Cristo, l’adempimento della sua parola, il percorso che lo porta a immolarsi per la salvezza degli uomini. Maria appare piuttosto come un semplice strumento, un ventre preso in prestito da Dio affinché potesse plasmarvi il proprio corpo carnale.
5) Gesù di Nazaret è il Cristo, il Figlio di Dio, incarnatosi nel grembo di una donna per adempiere alla volontà del Padre. Come tale ci viene presentato dagli ignoti autori dei quattro vangeli. E qui il discorso si potrebbe concludere, giacché il dato è fissato una volta per tutte senza possibilità di smentita e senza nemmeno ammettere il vaglio della ragione. Ogni gesto a lui riferito, ogni sua parola riportata partono da questa fondamentale premessa, da questo assunto che dall’incipit all’epilogo permea ciascuno di questi vangeli. Attraverso un continuo rimando alle scritture del Vecchio Testamento, gli autori forniscono al lettore tutti gli elementi affinché il concetto sia chiaro fin dall’inizio; la vicenda di Gesù viene inserita nel solco di un’antica promessa e di una lunga attesa, innanzitutto del popolo ebraico e quindi universalmente estesa all’umanità intera. Non viene lasciata altra scelta che credere a quanto gli autori di questi scritti hanno stabilito a priori, sulla scorta dei sacri testi cui si rifanno. Anche là dove i racconti mostrano la comprensibile incredulità di certe figure attorno a quest’uomo di nome Gesù, il lettore è portato dagli abili estensori di questi testi a non contemplare mai la possibilità di un dubbio circa il fatto che egli sia realmente il Cristo salvatore del mondo.
Cover Amedit n° 17 – Dicembre 2013. “Ephebus dolorosus” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 17 – Dicembre 2013
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