Gli uomini e le donne che imbracciano quelle briciole di fiducia e partono non hanno nulla da raccontarsi, salvo che vanno incontro a un mondo che lascerà il segno. Del resto, esiste un altro posto al mondo che stravolge i sensi più dell'India? Queste persone tengono con sé anche un'ironia salutare e a volte perfida: Marigold Hotel è un film a tratti rigenerante nel buonumore che dona. Vi predomina un approccio molto emotivo, sentimentale (Il nostro viaggio è stato abbastanza lungo da poterci infine concedere di piangere), con punte discutibili e un finale a mio avviso un po' affrettato. Tuttavia, lo spirito dell'India, e perfino certi tocchi di Bollywood, conferiscono comunque freschezza e vivacità a una pellicola che desta tenerezza e, a tratti una sincera commozione per l'insperata sobrietà che accompagna temi delicati e una sincera indagine del senso del dolore, della morte ormai prossima.
John Madden ha ricreato così questo mondo in bilico, che si culla in una vorticosa e trasognata immobilità, in questo silenzio che non stagna mai, dove le voci emergono sempre sincere. E le orchestra bene, mette a puntino i dialoghi, forse un po' schematici (come quelli che hanno per protagoniste la Muriel di Maggie Smith e la Madge di Celia Imrie), inquadrando ad arte alcune vite a scapito di altre, mettendo a fuoco alcuni volti nella loro naturale atmosfera (tra tutti segnalo l'espressione intensa e sorniona di Ronald Pickup e la bellissima Tena Desae). Tutti gli attori contribuiscono a questo coro di vite al bivio, ma mi piace segnalare Judi Dench, Tom Wilkinson e Bill Nighy, ciascuno a suo modo autore di un meraviglioso ritratto.