Tranquilli cari lettori, il “sole africano” che brilla spavaldo in queste afose giornate non ha giocato a bowling con le mie già delicate sinapsi, per cui ho anche individuato i difetti essenziali dell’opera in questione: una regia, Simon Curtis, alquanto anodina, con tutte le caratteristiche dell’esordio cinematografico, risentendo, nel bene e nel male, dei suoi trascorsi teatrali- televisivi, e la sceneggiatura, da par suo (Adrian Hodges, dai diari di Colin Clark My Week with Marilyn e The Prince, the Showgirl and me), per quanto “compatta” e senza particolari sbavature, che non supera una dignitosa professionalità.
Eddie Redmayne e Judi Dench
Il principe addormentato Il principe e la ballerinaMichelle Williams
teen dramaDawson’s CreekMichelle riesce infatti a far emergere, anche con un semplice sguardo o un accenno dello splendido sorriso, la complessità caratteriale dell’attrice: da un lato la Diva che enfatizza il proprio ingresso in scena, tra dubbi ed insicurezze, facendo sì che l’eterea vaghezza si trasformi in pressante e prorompente consistenza, con un candido erotismo denso di contrastanti richiami e contraddizioni, dall’altro la “normalità” di Norma Jean Baker (nome all’anagrafe della Monroe), colta nella sua essenzialità, la fragilità imposta da tale incessante trasformismo, appena mitigata da una particolare ironia (ed autoironia) unita ad una forte determinazione, che spesso riusciva a travalicare la profonda insicurezza di fondo.
Kennet Branagh
popTra gli altri pregi di Marilyn, una buona ricostruzione storica ed il resto del cast veramente valido: Redmayne nei panni di Clark appare “giustamente” impacciato ed incolore, Julia Ormond in quelli di Vivien Leigh con poche battute ed espressioni riesce a dare il senso di quanto possa essere effimero il successo e crudele lo show-business, mentre altrettanto degne di nota sono le caratterizzazioni offerte da Zoe Wanamakar, Paula Strasberg, consigliere recitativo della “dea”, e, soprattutto, da Judi Dench, l’anziana attrice Sybil Thorndike, che vorresti non uscisse mai di scena.
In buona sostanza un film “medio”, come si diceva un tempo, che fa di tale “medietà” la sua forza stilistica, con l’indubbio pregio di coinvolgerci in un abbraccio apparentemente freddo, ma alla fin fine colmo di quella gioia, magicamente mista a tristezza, e proprio per questo difficilmente eguagliabile, regalataci da Marilyn nel corso della sua carriera.