Tra il 2008 ed il 2010 in un antico cantiere scavato nel tufo, ad Alimuri, fu ricostruito un gozzo tradizionale usando un sapere orale vecchio di secoli, che sembrava oramai perduto. Mare Dentro intervista Piero Castellano, il fotoreporter che documentò quel progetto affascinante.
Castellano, dove si trova Alimuri, per chi non lo sapesse e chi sono i maestri d’ascia con cui ha lavorato?
La Marina di Alimuri si trova ai piedi della falesia di Meta, a nord del banco tufaceo del Piano di Sorrento. Il nome è probabilmente una corruzione del greco “Alimne”, “priva di porto”, a differenza dell’attigua Marina di Meta che era ben riparata, prima degli scempi degli anni ’70 e ‘80. L’ampiezza della Marina di Alimuri permise la costruzione di navi d’altura, per lo più navi- goletta e brigantini a palo, tra la fine delle Guerre Napoleoniche e la Prima Guerra Mondiale e Meta diventò un centro marinaro come pochi altri in Italia. Mast’Antonio Cafiero aveva imparato il mestiere da suo zio, l’ultimo Maestro d’Ascia dei cantieri di Alimuri e con la costruzione del gozzo “S. Maria del Lauro” ha tramandato le sue conoscenze al figlio Michele. Purtroppo Mast’Antonio Cafiero è scomparso qualche mese fa, non prima di aver tramandato la sua arte.
Marina di Alimuri (© Piero Castellano)
Come e perché è nato il suo interesse per questo progetto?
Conoscevo i Cafiero fin da ragazzo, come molti Metesi cresciuti sulla spiaggia. Quando decisero la ricostruzione del gozzo, Michele mi chiese di scattare “qualche foto”. Rifiutai categoricamente di limitarmi a “qualche foto”, e invece seguii e documentai, con foto e video, tutta la vicenda, durata tre anni per una serie di complicazioni, raccontandola nel blog.
Se dovesse descriverci, attraverso una foto, un pezzetto di storia del paesaggio costiero in cui è cresciuto, cosa o chi ritrarrebbe e perché?
Una sola foto non basterebbe, ma dovendo, sceglierei una qualsiasi delle foto scattate nella grotta del Cantiere Cafiero, dove la memoria storica si sovrappone alle tradizioni che tanto hanno plasmato il paesaggio del Golfo di Napoli: la natura ha fatto molto, ma per millenni gli uomini hanno aggiunto senza deturpare, adattandosi ad un territorio unico, e le barche a vela latina sullo sfondo di un Vesuvio fumante o di villaggi di pescatori sono un elemento fondamentale delle classiche gouaches o stampe del Golfo.
Nella Tabula Peutingeriana, nominata dall’UNESCO tra le memorie del mondo, figura anche la Campania, crocevia di scambi ed incontri, tra terra e mare. Cosa di più fervido e vivo riserva ancora oggi questa terra, secondo lei?
Le persone, e la memoria storica del popolo. Nonostante l’immenso, disastroso degrado materiale e morale in cui l’incapacità di amministratori e intellettuali l’ha precipitata, la Campania ha ancora un immenso patrimonio umano, la cui memoria storica viene attaccata ed erosa giorno per giorno da speculatori ignoranti e miopi. Meta è un caso particolare, ma abbiamo artigiani come i Cafiero, che subiscono pressioni perché il loro cantiere diventi un… ristorante, artisti presepiali, tanti altri artigiani che vengono completamente ignorati dalle amministrazioni che pure considerano Meta un paese turistico. I prodotti enogastronomici tipici campani sono unanimemente apprezzati, ma i contadini e i vignaioli che li custodiscono sono vessati da burocrazia e ignoranza. Una regione che sta distruggendo un patrimonio culturale inestimabile sotto gli occhi inorriditi del mondo dovrebbe fare ponti d’oro a restauratori e conservatori, che invece vengono messi in fuga dai sistemi clientelari e nepotistici, di cui troppi sono responsabili e complici.
“Mast’Antonio” Cafiero controlla la ruota di prua preparandosi a tagliare l’incastro a palella nella trave di chiglia (© Piero Castellano)
A Bodrum, l’antica Alicarnasso, nacque nel V sec. a.C. un uomo che indagò la causa e l’origine della battaglia tra Greci e Persiani. Quell’uomo, che si chiamava Erodoto, può forse essere considerato il primo reporter della storia di cui abbiamo notizia. Lei Castellano è un fotoreporter, potrebbe raccontarci, quando e come nasce in Lei la voglia di farsi domande e di cercare delle risposte e come si sviluppa poi questa energia nel suo lavoro?
La risposta è semplice, e ce l’ha insegnata proprio Erodoto, la cui attendibilità, tante volte discussa, viene invece sempre più spesso confermata dalla Storia: il desiderio di imparare, e l’incapacità di accontentarsi di spiegazioni di seconda mano; la certezza che qualcosa di diverso si nasconda dietro l’orizzonte e che finché resti sconosciuto non potremo cambiare e accrescere la realtà locale e la nostra persona. La scoperta, imparare qualcosa di nuovo – di diverso – che rende a sua volta diverso quello che sapevamo o eravamo fino ad allora, è incompleta finché non la raccontiamo: da Erodoto abbiamo imparato che la seconda parte dell’esplorazione è il racconto della scoperta, che la rende certa e definitiva, finché qualcuno non si spingerà un passo più lontano.
Secondo Lei come può oggi lo studio della storia passata di un territorio e delle sue tradizioni ispirare uno scambio di idee tra culture diverse, favorendo soprattutto sviluppo, integrazione e dialogo?
Lo studio delle proprie radici è fondamentale, ma spesso la storia locale è purtroppo inquinata dal pur legittimo desiderio di dare lustro al proprio villaggio. E’ insolito che storici preparati si dedichino alle minuzie della storia locale e questo spesso la lascia nelle mani di chi ha più interesse nell’apologia del proprio campanile che nella realtà storica e nel superamento dei pregiudizi. Mi ha colpito molto scoprire che la scorreria dell’ammiraglio ottomano Turgut Reis, noto da noi come Dragut, che saccheggiò Sorrento e Massa Lubrense nel 1558, non fosse affatto un atto di fanatismo anti cristiano (o un raid piratesco come quelli che martoriavano i villaggi costieri su entrambe le coste del Mediterraneo) ma un episodio delle “Guerre Italiane” tra l’Impero Spagnolo e il Regno di Francia, che per spezzare il suo isolamento aveva cercato l’alleanza dell’Impero Ottomano: a bordo delle navi turche c’era un ammiraglio francese, come ufficiale di collegamento, che si accertasse che la flotta ottomana attaccasse effettivamente i possedimenti spagnoli del Vice Reame di Napoli. Superare i pregiudizi e la propaganda, vecchia di secoli, potrebbe significare aprirsi alla collaborazione e all’apprendimento. Prima del Colonialismo non c’erano barriere di razza o religione, ed è semplicemente fuori dal tempo che in Italia ancora si parli di differenze o integrazione, che nel resto del mondo sviluppato è un fatto compiuto da tempo.
Michele Cafiero ed il modellino del gozzo S. Maria del Lauro realizzato secondo disegni del 1919 (© Piero Castellano)
Molte memorie, racconti e differenti interpretazioni spesso non trovano spazio tra le righe della “storia ” ufficiale o ufficializzata. Che ruolo giocano i mezzi di informazione nei confronti di queste storie minori?
Come dicevo, i mezzi di informazione, specialmente quelli locali, hanno grandi responsabilità non tanto nel conservare o diffondere storia e tradizioni locali quanto nel mantenere vivo l’interesse per esse. E’ un ruolo molto delicato, non solo perché i media minori possono favorire determinate interpretazioni favorevoli al pubblico locale, ma anche e soprattutto perché una volta che una storia sia stata scritta, quella determinata versione diventa una fonte per i prossimi ricercatori, e quindi imprecisioni e omissioni, spesso causati da semplici fraintendimenti o ragioni di spazio, diventano canonici, manipolando la verità storica. Al tempo stesso, un lavoro accurato di verifica e ricerca può garantire la obiettività necessaria e preservare memorie orali di fonti diverse, anche discordanti, che possano testimoniare fatti passati.
Michele Cafiero mentre fissa e blocca la “frisa”(© Piero Castellano)
Cos’è la meraviglia per Lei e come si fa a preservarla sebbene intorno a volte, tutto sembra essere distruzione o rovina?
La meraviglia, lo stupore di ogni testimone nello scoprire realtà diverse da quelle che si immaginavano, è l’incentivo di ogni ricerca, il fiore di loto che dà assuefazione e spinge a cercarne di più. Da quella che sembra la più totale distruzione, senza speranza, di solito emergono i comportamenti umani più ammirevoli, e le qualità delle persone. Vedere i comportamenti di chi soffre, la capacità di adattamento e di recupero della mente umana ravviva la speranza anche nei più pessimisti.
Grazie per il suo tempo e le sue risposte!