Marino, tra Texas e Caraibi (Francesco Merlo)

Da Rene1955

È così irrilevante che ormai anche le sue dimissioni sarebbero insignificanti. Si è perciò nascosto ai Caraibi per scrivere le sue memorie, libro dei sogni e canto del pastore errante. Ignazio Marino potrebbe rubare il titolo al film dei Fratelli Coen: L’uomo che non c’era. È infatti il loser che mai sta dentro la sua vita, “quella vita – dice il Marino del film – che mi ha servito delle carte perdenti o forse non le ho sapute giocare, chissà”. Dunque è drammaticamente ovvio che il sindaco-scrittore non sarà presente neppure giovedì prossimo quando il Consiglio dei ministri parlerà di lui ed esaminerà la monumentale relazione del prefetto Gabrielli, la cartografia e la sinossi di mafia capitale, il caso Roma insomma che, purtroppo, non ha la leggerezza fatua e struggente del caso Marino. Ha detto Renzi ad Orfini: “Il sindaco è l’assente che non si può cacciare”. Speriamo che questa scrittura gli serva almeno come terapia perché davvero somiglia al barbiere di quel film che “non c’era soprattutto quando c’era”.

Almeno adesso nel non esserci Marino ha la scusa dei Caraibi “dove il sole è più sole che qua…”. Sempre l’altrove di Marino è quello delle canzoni e della commedia all’italiana, esotismo e fusi orari. Quando a Roma è mezzogiorno di fuoco lui dorme, come Paperino ad Honolulu che Paperone non poteva raggiungere perché l’uno si alzava quando l’altro si coricava. Dunque, dopodomani mattina quando di giorno a Roma il Consiglio dei ministri parlerà di lui, Marino scriverà di sé nella notte del Golfo del Messico, “mio diletto amore / non tramonta il sole / al Tahiti Bar”. Marino scrive. Da quando è sindaco ogni sera ha preso appunti su quadernetti di colore diverso: il nero per la mafia che non ha visto, il rosso per la rivoluzione che ha promesso, il giallo per i viaggi e per le fughe, il grigio per i giornalisti cattivi, l’arcobaleno per gli incoraggiamenti che ha ricevuto all’estero “dove  –  mi confidò  –  mi capiscono e mi applaudono per le stesse ragioni per cui a Roma mi fischiano”.

Per la verità nel novembre del 2014, quando scoppiò la rivolta della periferia di Tor Sapienza contro gli immigrati, il primo cittadino, che nei comizi elettorali aveva promesso di “trasformare Roma nella città dell’accoglienza”, non si accorse di nulla e addirittura l’indomani mattina, mentre infuriava lo scontro, sempre più sconnesso con la realtà volò a Londra (…) E ritirava una laurea ad honorem a Philadelphia nei lunghi giorni di ordinaria follia quando l’intera Roma inseguiva i tre rom che a Primavalle, su un’auto pirata, avevano travolto sette persone e ucciso sul colpo una povera donna. E quando i vigili urbani si diedero tutti insieme malati e scoppiò la rivolta dei certificati falsi, Marino era e rimase a Boston.

via repubblica.it