Mario Comensoli, cronache di una favola smarrita

Creato il 16 gennaio 2014 da Thefreak @TheFreak_ITA

La morale è il pretesto più nobile per ghigliottinare gli altri perché la morale non può che essere individuale

Vorrei che per un attimo vi concentraste, liberaste la mente fissandovi su di un pensiero unico e vi sforzaste di metterlo bene a fuoco. So che l’operazione che vi sto chiedendo di svolgere non è semplice, soprattutto in piena sessione invernale, mentre la sola costante che brancola nelle vostre aree cerebrali è la bramosia di saldi, ma vi chiedo di compiere questo sforzo come un favore personale (anche a me è arrivata la mail da parte di Stefanel, fatevi un po’ di coraggio).

Adesso che avete la testa sgombra vi prego di cercare di focalizzarvi su di una immagine precisa, nitida. Questa, signori miei, sarà la parte più difficile, vi avverto, perché vi sto mettendo a dura prova: dovrete infatti lottare con il vostro istinto di sopravvivenza, pochi di voi eletti infatti vorranno mantenersi concentrati su quello che vi sto per chiedere di visualizzare.

Adesso, se siete pronti, è il momento, buttatevi: guardatelo in faccia, con i suoi occhi torvi, il naso aquilino, la pelata incolta. Eccolo, è lui: Alessandro Sallusti.

Ora, sono consapevole della possibilità che, appena un attimo fa, nella vostra limpida testolina, questi possa addirittura decidere di mettersi a parlare. Bene, se così dovesse accadere, lasciatelo fare, vi prego, è giusto che voi abbiate chiara la rilevanza di questa problematica. Naturalmente a seconda dei vostri gusti e colori politici preferiti, potete sostituire l’immagine del giornalista: il panorama italiano in questo senso pullula di personaggi folcloristici quasi da poter dedicare loro un album Panini. Affrontate dunque il vostro Travaglio (e non solo interiore) personale.

Ecco, adesso che avete attraversato il tunnel, proviamo ad inventare una luce alla fine di questo. Una volta ripresi dal vostro shock, riuscite ad immaginare un mondo in cui le notizie di attualità, cronaca e dei giorni nostri (già tristi di per sé) siano raccontate in modo alternativo? Con colori, pastelli, poesia? Forse scardinare la realtà dai preconcetti e dagli schemi in cui spesso il nostro giornalismo la inquadra la renderebbe anche meno delicata, ma di certo più veritiera e libera. 

C’era una volta qualcuno che era riuscito in questo felice tentativo. Oggi di lui restano le sue meravigliose, colorate fotografie di una favola che non c’è più, e la cui scomparsa è stata dipinta anche dai suoi pennelli.

Mario Comensoli, pittore svizzero, ha rappresentato gli anni in cui è vissuto nei suoi splendidi quadri, dettando la cronaca dei vari avvenimenti che hanno caratterizzato i suoi tempi. Figlio di un italiano trasferitosi all’estero, ha raccontato i grandi flussi migratori dei lavoratori della nostra nazione verso la Svizzera. I suoi personaggi sono diventati, insieme alle loro tute blu, divisa dell’operaio, un vero e proprio simbolo del tempo.

Ma è con l’avvento del ’68 e la conoscenza dei grandi movimenti di pensiero che si susseguirono in quei vivacissimi anni che l’arte di Comensoli giunge alla piena maturità.

Dall’emancipazione femminile alla disco-virus, dall’avvento del grande schermo e delle sue luci scintillanti fino ad arrivare ai punks, giovani ribelli con i capelli a cresta, con i loro sogni di libertà e di speranza.

E molta parte dell’opera di Comensoli è proprio dedicata a loro, all’antagonismo di questi ragazzi leggeri contro i colletti bianchi che popolano la Bahnhofstrasse, la famosa strada delle banche a Zurigo.

Ai desideri di questa gioventù spensierata l’artista dedica i suoi colori più brillanti. Controtendenza, esagerati, i punks rappresentano per Comensoli il vessillo della pace e dell’armonia in quegli anni tanto desiderata.

Purtroppo però, e forse troppo presto, il sogno di speranza che quei giovani hanno rappresentato svanisce.

Il movimento finisce presto per essere travolto dalla spirale della droga. La delusione è forte per l’artista, e anche nei suoi quadri i suoi personaggi preferiti subiscono una rivoluzione cruenta pari a quella reale.

Da colorati e spensierati i punks di Comensoli assumono una forma quasi larvale, affamati rovistano nei rifiuti, i loro corpi  rimangono appena accennati, le loro bocche spalancate dall’orrore, il cielo si fa scuro.

Nel quadro intitolato Senza futuro la disillusione dell’artista si rivela nella sua totalità.

Tuttavia, la dimensione oscura che appare avviluppare la generazione tanto ammirata dall’artista sembra comunque risparmiare un piccolo spiraglio di luce, di speranza.

Nonostante la sensazione di folle smarrimento e di cupidigia, infatti, gli sguardi dei giovani punks mantengono comunque un’espressione di sincera dolcezza. Quasi come se i sogni tanto desiderati non avessero completamente abbandonato il loro sguardo.

Di loro, infatti, l’artista scrisse:  “Questa gioventù ai margini della nostra società, con la sua nuova cultura che non vuole cambiare il mondo, mi ha mostrato nuove possibilità pittoriche: in questi giovani vedo angeli e demoni, spesso angeli e demoni nella stessa persona”.

Comensoli, infatti, qualsiasi dimensione abbia mai esplorato con la propria pittura, non ha mai mancato di conferirle un briciolo di futuro, di vitalità. Persino disperati, tra i rifiuti, i suoi giovani non rinunciano alla tenerezza di una carezza ad un cane, di un sorriso allo spettatore che, compassionevole, li osserva.

Lo sguardo dell’artista, infatti, nonostante le delusioni e il crollo di quelle chimere mai realizzate, non ha mai smesso di guardare al colore, nella sua forma più viva, accesa. Comensoli scriveva infatti “L’arte si avvicina all’erotismo, perché lotta contro la morte”. È solo leggendo le sue opere che si può sinceramente capire cosa intendesse.

Forse proprio perché, esattamente come dipingeva a strati, sopra i suoi stessi quadri, modificando più e più volte le tele già completate, nel corso del tempo l’artista, l’uomo, non ha mai smesso di cercare, attraverso la sua colorata lente pittorica, una nuova utopia, una nuova favola.

 Di Maricia Dazzi.