Marion in Berlin. PER UN PUGNO DI PANNI

Creato il 10 ottobre 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Come anche i muri sanno, in Germania non c’è sole per cui l’immagine mitica di panni sventolanti sui campi di grano (visione tardo fascista degli spot dei detersivi), toglietevela dalla testa.

La realtà delle lavanderie self service è più capillare che in tante nostre città. Attorno a queste gravita un mondo multietnico e on the road affascinante quanto dispersivo.

La lavanderia a gettoni risolve problemi di tempo, spazio e volume (è oggettivamente provato che  in casa non c’è spazio per più di due stendini). C’è chi si ferma ipnotizzato a vedere l’oblò che gira su se stesso chi fa la spesa nel frattempo e chi legge “L’amore: questo sconosciuto”.

Lavi e asciughi nei piccoli forni bollenti.

Nel nord Europa questo stile di vita è stato arricchito in qualche caso anche da lavanderie-caffetterie dalla tappezzeria e arredamento vintage (la solita fuffa: c’abbiamo i soldi però ci piace il divano sfondato). Forse anche in Italia, mi pare di aver letto, c’è stata qualche imbarazzante imitazione.

In Italia quando si dice lavanderia si pensa subito alla mite signora, latente arpia, che si prende cura del cappotto o di abiti vagamente “importanti”.

La stessa figura rassicurante naturalmente si trova anche qui. Ma di rassicurante talvolta c’è ben poco.

Frau Korber è grassoccia, ridacchia con i clienti più fidelizzati ed ha sempre un metro attorno al collo. Le porto delle giacche da lavare e qualche piccolo piumone che la mia piccola grande lavatrice non fa, e non per principio, ma perché nun glie la fa proprio.

Frau Korber sostiene sempre che le mie giacche sono di pelle E QUINDI hanno bisogno di un trattamento speciale…Io le ribatto che no, non ho giacche di pelle, non me le posso permettere, ma quelle di finta pelle oh si, quante ne vuole.

Sbruffa, ma alla fine vinco io. Non te li regalo i miei risparmi, strega.

Un altro caro cliché, oltre a quello dell’assenza del sole e dei pomodori buoni solo da noi, è la puntualità. Per un piumone ho dovuto aspettare due settimane e ogni volta che tentavo di ritirarlo il teatrino davanti ai miei occhi era impagabile (quanti falsi miti possono crollare grazie solo a un lavaggio a secco!).

Frau Korber cerca il piumone in ogni angolo, si arrampica sugli stendini girevoli facendo intravedere un pizzo dei suoi mutandoni da vecchia. Niente, il piumone è sparito.

Com’è possibile Frau Korber? Cerco di farle capire con lo sguardo il mio disappunto caricandolo della violenza dei pregiudizi: ma come?! Una esercente tedesca che non trova la merce che il cliente aspetta, eh su.

Le suda la fronte, il collo, suda pure il metro adagiato sulle tettone, sudano pure quelle.

Si gratta la testa ricciuta e bionda.

Mi spiace, non c’è, è tornato in magazzino, ma la settimana prossima, vedrà…

Frau Korber…non è giusto. Ho fatto chilometri per venire qui, sa, perché avevo bisogno di regole, di garanzie, di strade asfaltate, della raccolta differenziata. Mi sto sforzando pure di parlare la sua lingua e con la scusa che è la lingua dei filosofi lotto ogni giorno con la frustrazione di non esserne all’altezza.

Adesso voglio il mio cazzo di piumone.

Frau Korber, abbassa lo sguardo e mi dice di tornare martedì. Va bene, aspetterò ancora.

Martedì il mio piumone con i fiori blu è tutto implasticato che mi aspetta.

Come diceva Sartre, Frau Korber, l’orgoglio è l’arringa dei miserabili, per cui: a presto.

Dopo un mese torno dalla Korber con un pezzo grosso: un magnifico giaccone di camoscio  rivestito internamente di lana. Con quel coso addosso l’inverno berlinese diventa una barzelletta da blogger.

Frau Korber è quasi contenta di rivedermi, dico “quasi” perché come tutti sanno le emozioni, il dramma, le sceneggiate le abbiamo inventate noi, con il temperamento latino. A ognuno i suoi meriti.

Il giaccone sarà pronto la settimana prossima ma devo firmare un foglio in cui dichiaro di essere consapevole che un bottone può saltare, che il colore può essere vagamente diverso e io zitta.

Che vuol dire colore  “vagamente” diverso, Frau Korber?

Niente, niente Marion.

Bah.

Mi consulto rapidamente al telefono con mia madre, che di queste faccende è pratica e infatti dovremmo avere sempre un auricolare reciproco, tipo Ambra e Boncompagni, per confrontarci in tempo reale sulle offerte, i prezzi del pane e la necessità di lavare le lenzuola nuove prima di usarle.

Mia madre sentenzia che è giusto, che in Italia te lo dicono a voce ma qui ti fanno firmare un foglio e la sostanza alla fine non cambia.

Accetto.

Dopo una settimana torno e la Frau Korber non c’è, al suo posto dietro la cassa c’è una roscia anoressica.

Frau Korber è in  vacanza,  in Italia a farsi i fanghi per le ossa, dice la roscia. Ecco il suo giaccone.

Cos’è questo?

Ma è un buco…Scusi…c’è un buco qui. La roscia mi porge una lettera.

C’è scritto che a causa della morbidezza della lana si è verificato un inconveniente che non è possibile riparare e COMUNQUE ho firmato la lettera.

Ma come?…Senta scusi, cioè, c’è un buco qui, per di più con la stampella comodamente infilata dentro.

La lettera, mi indica la roscia. Si, la lettera, ma io sono una cliente e mi ritrovo un buco nel mio fantastico giaccone. Voglio parlare subito con la Korber, urlo.

Non c’è, è in Italia a farsi i fanghi.

E adesso che faccio? Devo comunque farlo riparare, almeno ridatemi parte dei soldi.

Ha firmato la lettera.

È incredibile, è questo il rispetto per i clienti?.

Ha firmato la lettera.

Voglio parte dei soldi.

Ha firmato la lettera.

Voglio parlare con la Korber.

Sta in Italia a farsi i fanghi. E poi ha firmato la lettera.

È inutile litigare con voi, non c’è gusto. Ora capisco come le ideologie estreme possono radicarsi in voi e diventare operative. Noi siamo dei pivelli al confronto, nonostante abbiamo avuto e abbiamo criminali al potere, rimaniamo dei cialtroni incoerenti e incostanti. Voi no. L’Idea, il Concetto, sono le vostre prospettive di vita, l’ideologia arriva e si poggia docile.

Avanti per la propria strada. Quasi vi invidio.

Mi saluti la Frau Korber.

Con la giacca di pelo imbustata e la spesa nell’altra mano sudo come la Korber nei suoi momenti migliori. Sono le 9.00 del mattino del 16 maggio. Fa già un po’ caldo, sarà una bella estate.

Eppure io un po’ di freddo lo sento uguale.

Natasha “Eva Kent” Ceci

Scritto da Redazione il ott 10 2011. Registrato sotto REALITY BITES, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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