Film italiano di matrice sociale, diretto da Alessandro Di Robilant e ambientato a Taranto. Il protagonista è Tiziano, un ragazzo che vive in uno dei quartieri più degradati della città pugliese e che è già parte integrante della malavita locale, gestita e capeggiata dal giovane boss Tonio (un irriconoscibile Michele Riondino che attualmente presta il volto al Giovane Montalbano). Tiziano frequenta poco la scuola, ha una ragazza che non condivide le sue scelte di vita ma che nonostante tutto lo ama e ha anche una famiglia che sembra non accorgersi fino in fondo della brutta strada che lo sta inesorabilmente inghiottendo. Infatti la madre lotta le sue battaglie quotidiane con onestà e coraggio mentre il padre è un fallito che conduce le sue grigie giornate tentando la fortuna alle macchinette, dissipando così i pochi guadagni della sua famiglia. Tiziano vorrebbe scappare da tutto questo ma gli strumenti che adotta finiscono per farlo precipitare in una spirale di ricatti e minacce che lo conducono infine in prigione, reo di aver sparato ad un uomo su mandato del boss Tonio. E’ proprio la prigione però che gli consente di guardare più in alto, al di sopra della vita a cui è convinto di essere destinato e che gli fa prendere infine la decisione di lasciare la sua città e ricominciare altrove con la sua ragazza, unico sprazzo di luce in tunnel apparentemente senza uscita.
Il film scorre via veloce in poco più di un’ora ma il tempo a nostra disposizione è più che sufficiente per prendere contatto con una realtà cruda, violenta e purtroppo amaramente reale. Difficile forse per noi che viviamo in “case di mattoni” capire che significa aver a che fare con la legge del più forte, con l’incertezza del domani e con la malavita che governa il quartiere dove vivi. Tiziano non è un cattivo (e in effetti hanno scelto un attore, Giulio Beranek, con un viso molto solare e aperto lontano dal classico brutto ceffo di periferia) ma solo un ingenuo che si crede più forte del più forte e che finisce per pagarla. Ama sinceramente la sua ragazza e la sua famiglia (un po’ meno il padre assente e smidollato), rispetta la professoressa che continua a sperare che lui possa cambiare e pur sentendosi parte di un sistema sbagliato, continua imperterrito a cadere quasi cercando di farsi male il più possibile. Certo, risulta difficile credere a 6 mesi di carcere per due omicidi così come alla bonarietà di una guardia carceraria (interpretata da un sempre bravo Giorgio Colangeli, stavolta dall’altra parte delle sbarre dopo la buona prova offerta in Aria salata) che si barcamena per insegnare la strada buona a minorenni dalla fedina sporca. Ci sono molti luoghi comuni in Marpiccolo, così come è d’uopo aspettarsi da un film che racconta la periferia ma tutto sommato non svalutano il valore finale del film.
Ottima poi la scelta di non scegliere come lingua ufficiale del film il dialetto visto che questo avrebbe tagliato via gran parte del pubblico. Il pugliese è giustamente presente ma inframezzato all’italiano così da poter godere appieno dei dialoghi di cui il film è ricco.
VOTO 6,5