Marvel Comics – Una Storia di Eroi e Supereroi: aneddoti mutanti

Creato il 18 settembre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
Speciale: X-Men: 50 anni mutanti
  • X-Men: 50 anni vissuti da mutanti
  • X-Men: 50 anni e non sentirli – Prima Parte
  • The X-Men, la fondazione: il ciclo di Stan Lee & Jack Kirby
  • Gli X-Men di Neal Adams
  • Marvel Comics – Una Storia di Eroi e Supereroi: aneddoti mutanti
  • X-Men: 50 anni e non sentirli – Seconda Parte

A luglio di quest’anno la Panini Comics ha tradotto e pubblicato il libro di Sean Howe Marvel – Una Storia di Eroi e Supereroi, dando la possibilità anche al pubblico italiano di leggere quest’opera campionessa di vendite negli States. L’autore nel suo libro ha ricostruito la storia della Casa delle Idee attraverso le voci di coloro che hanno contribuito al successo e alla crescita della casa editrice newyorkese. Raccogliendo oltre centocinquanta interviste a dipendenti e collaboratori vecchi e nuovi della Marvel, Howe ha creato un’opera che non è una “biografia” ufficiale, proprio per potersi esprimere liberamente nei suoi contenuti.
In occasione dello
Speciale X-Men e grazie alla disponibilità della Panini Comics, presentiamo alcuni estratti del libro che trattano specificatamente di vicende e retroscena legati ai mutanti Marvel. Il primo estratto riguarda il periodo della creazione degli X-Men negli anni Sessanta, i due successivi trattano della gestione mutante di Roy Thomas e Neal Adams e infine terminiamo con due tra i più importanti autori degli X-Men: Chris Claremont e John Byrne.

[…] Gli X-Men erano la controparte oscura degli Avengers: proprio come Spider-Man, anche i mutanti erano guardati con sospetto da quella stessa società per proteggere la quale combattevano: una prospettiva che divenne sempre più evidente col passare del tempo.

Guardate gli spettatori! Sono lividi di rabbia! Come ci dice sempre il Professore… Gli uomini temono e diffidano di chiunque abbia poteri mutanti!

grida l’Angelo in X-Men n. 5, scritto poco dopo il bombardamento della Chiesa Battista della Sedicesima Strada a Birmingham, Alabama, da parte di un gruppo di attivisti per la supremazia bianca.
Qualche numero dopo, quando la Bestia salva la vita a un giovane, un gruppo di persone lo assale e gli strappa via i vestiti. Era un caso che il profeta della non violenza Charles Xavier e il suo arcinemico, un guerriero come Magneto secondo cui il fine giustifica i mezzi, sembrassero metafore tanto calzanti di Martin Luther King e Malcolm X?
Ricordate, noi siamo homo superior”, ammoniva Magneto, pescando tale Nietzschiana definizione da un vecchio romanzo di  fantascienza.

Siamo nati  per governare la  Terra…  L’umanità deve essere nostra schiava! (…) Perché mai dovremmo amare gli homo sapiens? Loro ci odiano… ci temono per il nostro potere superiore!

Se il liberal “all’acqua di rose” Lee stava chiarendo ai lettori cosa ne pensava dell’intolleranza, era altrettanto evidente che riteneva che ci fossero dei limiti che la reazione a essa non doveva superare: quelli che invece valicavano costantemente Magneto e i suoi protégé, ribattezzatisi la Confraternita dei mutanti malvagi. “Il fine giustifica i mezzi” non era esattamente una frase tipica dei supereroi.[…]

 […] Un altro modo per mantenere credibilità era assumere qualsiasi disegnatore esaltasse i fans.
Neal Adams aveva sentito dire da Jim Steranko che la Marvel lasciava carta bianca ai cartoonist, e organizzò un incontro con Stan Lee.
Puoi lavorare su qualsiasi titolo tu voglia”, gli disse Lee, proprio come aveva fatto con Steranko due anni prima. Adams scelse X-Men, sicuro che, col titolo Marvel che vendeva di meno, avrebbe potuto fare quello che voleva e senza alcuna interferenza. “Certo, certo”, gli fu detto, “mettiti d’accordo con lo scrittore della serie, Roy Thomas.
Mentre Lee tentava di navigare i trend sociali ed estetici più caldi della fine degli anni 60, Thomas seguiva attentamente il metodo di lavoro del suo capo, arricchendo gli arazzi narrativi, usando come base di partenza (e a volte migliorandolo) ciò che era stato fatto da chi lo aveva preceduto. Non ancora trentenne, aveva non soltanto lo stesso amore di Lee per i  classici, ma anche una sensibilità particolare per le pietre miliari della contemporanea cultura giovanile; riempì pertanto le sue storie di riferimenti a chiunque, da Eschilo a Wonder Wart-Hog. […]

[…] I numeri di X-Men prodotti da Adams e Thomas non erano soltanto ben curati, ma erano molto seriosi, pieni di riflessioni cupe in luogo del grandioso filosofeggiare di Lee e Kirby. C’era tensione tra Ciclope e Marvel Girl, e si era venuto a creare un triangolo amoroso tra il fratello di Ciclope, Havok, la bella Polaris dai verdi capelli e l’Uomo Ghiaccio. Quasi ogni volto che Adams disegnava sembrava sull’orlo delle lacrime o del parossismo, e i dialoghi di Thomas ben riproducevano la drammaticità di persone adulte che si fanno la morale e litigano tra di loro.

La struttura non convenzionale delle pagine di Adams e le scene di lotta ipercinetiche – con l’azione che straripava da una vignetta all’altra – facevano sì che X-Men non cadesse nel melodramma più malinconico; anche i dialoghi più lunghi venivano dinamizzati da eleganti cambi di punto di vista e da inquadrature insolite.
Quando Stan Lee si disse preoccupato della capacità dei lettori di venire a capo di storie narrate con metodi tanto sperimentali, Thomas gli assicurò che il prodotto finito sarebbe stato pienamente comprensibile. Ma dopo che Martin Goodman, il quale approvava ancora personalmente le copertine di tutti gli albi Marvel, vide quella del primo numero disegnato da Adams, nel quale gli eroi sconfitti erano legati al logo X-Men, chiese che venisse immediatamente rifatta. Così Adams fece in fretta a capire quali erano i limiti della sua libertà artistica.

Uno dei primi ad assistere alla reazione di Adams e Thomas fu un laureato in teoria politica al Bard College di nome Chris Claremont, che stava facendo uno stage alla Marvel.

Ero lì quando il ciclo di X-Men di Neal e Roy ebbe inizio. Personalmente pensavo che fosse meraviglioso, ma ero io a occuparmi della posta dei lettori, molti dei quali erano fans inferociti di Don Heck.

Le lodi sarebbero arrivate col tempo, ma, proprio come Nick Fury, The X-Men riuscì a crearsi solo un seguito di culto. La serie venne cancellata, e nel giro di un anno Adams tornò alla DC. […]

 […] Tuttavia, il gioiello più prezioso del tesoro di Casa Marvel era The Uncanny X-Men. Alle convention i fans esprimevano il loro apprezzamento; nelle fumetterie spendevano i loro dollari. La star indiscussa della serie era il bevitore di birra e fumatore di sigaro Wolverine, il cui carattere scontroso e solitario rappresentava per i lettori più introversi un archetipo su cui proiettare le proprie esistenze solitarie.
Dietro le quinte, Claremont e Byrne crearono per il personaggio un’origine straordinariamente complessa: Wolverine era vecchio abbastanza da aver combattuto fianco a fianco con Capitan America nella Seconda Guerra Mondiale, e decisero che suo padre sarebbe stato Sabretooth, un supercriminale apparso una volta su un numero di Iron Fist. Tuttavia, invece di rivelare tutti questi dettagli, si limitarono a disseminare con parsimonia qualche indizio, al fine di coinvolgere sempre di più i lettori, che si scervellavano nel tentativo di svelare il mistero: “Perché Wolverine parla fluentemente il giapponese?” e “Logan è il suo nome o il suo cognome?

Era dai tempi di Fantastic Four di Lee e Kirby che non si vedeva una serie con così tanti personaggi e così tante minimitologie. Nel corso di mesi e mesi di storie, Claremont e Byrne rivelarono che il Professor X era stato in Egitto dopo la Guerra di Corea, e che il pirata interplanetario noto come Corsaro era in realtà il padre di Ciclope. In un numero, Byrne presentò un intero supergruppo di eroi canadesi nuovi di zecca, così colorati e variegati che sembrarono immediatamente pronti per avere una testata personale. Il team, di nome Alpha Flight, era un primo indizio di un qualche progetto segreto del governo canadese, lo stesso che aveva fornito gli artigli a Wolverine… ma per saperne di più, i lettori avrebbero dovuto continuare a seguire la serie.

L’avventura più complessa e soddisfacente degli X-Men ebbe come argomento principale il ritorno di Jean Grey. Ancora in giro per la Scozia convinta che gli X-Men fossero morti, Grey cade vittima di Jason Wyngarde, un dandy baffuto e in abiti vittoriani che in realtà era Mastermind, un vecchio supercriminale di Lee e Kirby, sotto mentite spoglie. Con l’aiuto della telepate malvagia Emma Frost, Wyngarde aveva scavato in profondità nella mente di Grey, la quale ben presto si ritrova a sognare a occhi aperti di essere un’aristocratica del diciottesimo secolo, sposata con Wyngarde e membro di un’eccitante e malvagia società segreta di nome Club Infernale.
Quando Jean Grey si riunì con gli X-Men, Wyngarde la seguì negli Stati Uniti, e qui fece leva sui suoi desideri più oscuri, mentre Frost, preside a sua volta di una scuola per mutanti, si scontrava con gli X-Men nel tentativo di reclutare due nuove studentesse.

a prima era Kitty Pryde, che poteva rendere il proprio corpo intangibile e passare attraverso gli oggetti solidi. Si scoprì così che una coraggiosa tredicenne ebrea studentessa di danza classica, genietto della matematica e con i poster di Leif Garrett e Mickey Mouse appesi in camera, era l’ingrediente di cui aveva bisogno The X-Men per  fare  breccia  nel  cuore  dei  lettori  più  giovani,  che  presero  a  scrivere  alla  Marvel chiedendo come fare per fidanzarsi con lei.
L’altro mutante era Dazzler, alla sua prima apparizione; e, a dimostrazione della loro abilità, Claremont e Byrne riuscirono a volgere a proprio vantaggio la comparsata imposta dall’alto di quel personaggio creando un collegamento tra la depressione degli ultimi giorni della discomusic e l’edonismo del Club Infernale. In un club a downtown Manhattan, Ciclope assiste con orrore alla scena di Jean che si bacia con Wyngarde, sotto la luce scintillante delle mirror ball.

Grey diviene la Regina Nera del Cerchio Interno del Club Infernale. Vestita di pelle, contribuisce in maniera determinante alla cattura degli X-Men prima di riuscire finalmente a sfuggire al controllo di Wyngarde. Ma la malvagità dei suoi desideri più repressi l’aveva corrotta in maniera permanente, e la sua personalità cedette il passo al potere oscuro della forza Fenice. La sua vendetta su Wyngarde è tremenda. “Sei venuto da me quando ero vulnerabile”, gli dice con rabbia mentre lo attacca.

Hai riempito un vuoto che avevo dentro. Hai preso la mia fiducia– e forse anche il mio amore– e mi hai pure usata!

Quindi lo fa impazzire con quello che di fatto era un brutto trip: espandendo la sua mente al di là delle sue capacità, fino a renderlo un vegetale. Era il comportamento peggiore mai visto in un fumetto Marvel, e non era che l’inizio. […]

MARVEL COMICS: THE UNTOLD STORY © 2012 by Sean Howe.
Edizione italiana: © 2013 Panini S.p.A.

Abbiamo parlato di:
Marvel. Una Storia di Eroi e Supereroi
Sean Howe
Traduzione di Aurelio Pasini
Panini Comics, 2013
486 pagine, rilegato, bianco e nero – € 29,90
ISBN-10: 8863048592
ISBN-13: 978-8863048599

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