Masaniello – 7 luglio 1647

Creato il 07 luglio 2013 da Marvigar4

   Masaniello, al secolo Tommaso Aniello d’Amalfi (29 giugno 1620 – 16 luglio 1647), è la personificazione del capopopolo, dell’umile pescatore che si ribella contro l’aumento delle tasse, per la precisione delle gabelle sulla frutta deciso nel 1647 dal viceré di Napoli, Rodrigo Ponce de León duca d’Arcos, rappresentante del Re di Spagna Felipe IV. Tra leggenda, revisioni storiografiche e tentativi di collocare ideologicamente la figura di Masaniello siamo giunti ai giorni nostri, vero è che dietro la sommossa popolare guidata dal giovane napoletano soffiavano i venti del malcontento generale, forse di poteri occulti, interni o esterni al vicereame partenopeo, che proruppero in quei primi giorni di luglio del 1647 prendendo a pretesto un’inquietudine antica. Masaniello aveva sì voce e presenza, ma era peraltro “sponsorizzato” da Don Giulio Genoino, presbitero, giurista ed ex eletto del popolo, più volte incarcerato per sedizione e vera eminenza grigia della rivolta. In breve tempo fu sfruttato l’incidente creatosi la domenica del 7 luglio, quando il cognato di Masaniello, Maso Carrese, fruttivendolo disobbediente, venne ucciso in una colluttazione dal ricco mercante Andrea Naclerio, un eletto del popolo che si era schierato con i gabellieri. La sommossa fu immediatamente provocata e al grido di «Viva ‘o Rre ‘e Spagna, mora ‘o malgoverno» Masaniello prese le redini della sollevazione, guidò il popolo fino alle stanze della reggia e indusse il viceré a rifugiarsi nel Convento di San Luigi e chiedere l’intervento dell’arcivescovo di Napoli, il cardinale Ascanio Filomarino, promettendo l’abolizione delle gabelle. Nacque quella diarchia, Masaniello-Genoino, che in dieci giorni sconvolse Napoli: Masaniello assunse un ruolo preminente, Genoino tentò di mitigare il pescatore, vedendosi relegato a un ruolo secondario, e giunse a tramare l’eliminazione del capopopolo in combutta con gli spagnoli. La storia della fine di Masaniello, la sua eliminazione, è diventata emblematica, per alcuni rappresenta l’ennesimo tentativo da parte del popolo di governare se stesso, per altri l’impossibilità delle classi meno abbienti di giungere al potere, se non appoggiate e strumentalizzate da terzi. ’O piscatore è stato nel corso dei secoli raffigurato in vario modo, tra la primissime testimonianze c’è quella dell’arcivescovo Filomarino, in una lettera del 12 luglio 1647 a papa Innocenzo X, così descrisse la figura del popolano « Questo Masaniello è pervenuto a segno tale di autorità, di comando, di rispetto e di ubbidienza, in questi pochi giorni, che ha fatto tremare tutta la città con li suoi ordini, li quali sono stati eseguiti da’ suoi seguaci con ogni puntualità e rigore: ha dimostrato prudenza, giudizio e moderazione; insomma era divenuto un re in questa città, e il più glorioso e trionfante che abbia avuto il mondo. Chi non l’ha veduto, non può figurarselo nell’idea; e chi l’ha veduto non può essere sufficiente a rappresentarlo perfettamente ad altri. Non vestiva altro abito che una camicia e calzoni di tela bianca ad uso di pescatore, scalzo e senza alcuna cosa in testa; né ha voluto mutar vestito, se non nella gita dal Viceré»[1]. Vincenzo Cuoco nel suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 parlò di Masaniello, ma solo nella prima edizione del 1801, omettendo il riferimento nella successiva del 1806: «Masaniello, senza i nostri lumi, ma nel tempo stesso senza i nostri vizi e gli errori nostri, suscitò in tempi meno felici una gran rivoluzione in quel regno; la spinse felicemente avanti perché la nazione lo desiderava ed ebbe tutta la nazione con lui perché egli voleva solo ciò che la nazione bramava. Con piccolissime forze, Masaniello ardì opporsi, e non invano, alla immensa vendetta della nazione spagnola; Masaniello morì, ma l’opera sua rimase». Poi i giudizi negativi di Benedetto Croce, che trattò con disprezzo la rivolta di Masaniello definendola come “uno dei tanti moti plebei senza bussola e senza freno, senza capo né coda, senza presente e senza avvenire”[2], infine la ripresa contemporanea dello studio dei moti del 1647 nel difficile compito di non cadere in facili valutazioni ideologiche per riconsegnare al nostro tempo un personaggio che non è mai morto nella memoria dei napoletani…

je so’ pazzo, je so’ pazzo
e chi dice che Masaniello
poi negro non sia più bello?
e non sono menomato
sono pure diplomato
e la faccia nera l’ho dipinta per essere notato
Masaniello è crisciuto
Masaniello è turnato
Je so’ pazzo, je so’ pazzo
nun ce scassate ‘o cazzo!

Pino Daniele, Je so’ pazzo, dall’album Pino Daniele, 1979.

http://it.wikipedia.org/wiki/Masaniello#Dalla_nascita_al_1647


[1] Ascanio Filomarino, Lettere in Francesco Palermo (a cura di), Narrazioni e documenti sulla storia del regno di Napoli dall’anno 1522 al 1667, Firenze, Giovan Pietro Vieusseux, 1846, pp. 383.

[2] Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, Laterza, 1980, pag. 32.



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