” […]/ Chissà quando/ tornerò gabbiano/ per respirare/ libertà”. – “Urla il mare”
La libertà, fortemente bramata dall’Io poetico, è in costante relazione con l’ambiente esterno che preclude le possibilità degli spiriti sensibili, possibilità viste come eventualità e, dunque, come scambio di parole e di immagini. E l’Io, nelle liriche di “Maschera”, scinde il suo ‘esistere’ in voci corali contraddistinte dall’unicità della loro affermazione di esistenza, e nella voce poetica che rappresenta il personaggio principale.
Il coro è spesso presente e non ha costanza nel suo intervento, pare quasi uno sconvolgimento nel proseguo del verso, si presenta come voce assoluta rappresentante la verità. Una verità che non proviene dalla coscienza dell’Io ma, per l’appunto, da una pluralità di vite che intrattengono con l’Io un ragionamento, lo si può notare anche dal segno tipografico prescelto, fissato come una citazione od uno stralcio di discorso diretto.
Senza alcuna riserva l’autore, Vincenzo Monfregola, ci racconta dell’opportunità che ogni essere vivente possiede, un’opportunità celata a coloro che non respirano il senso delle cose e non seguono un sentiero personale mancante di definizione. E talvolta quando le parole del critico paiono oscure e di difficile interpretazione, un ottimo rimedio è la lettura dei versi del poeta.
“Respirare/ a polmoni aperti/ il senso delle cose;/ spalancare/ le porte dell’essenziale alla vita./ Portarsi/ dove la libertà traccia il sentiero/ per ognuno che voglia percorrerlo/ senza riserva alcuna,/ senza nessuna etichetta .// “Bisogna veramente ‘essere’/ per riuscire a volersi vivere/ in tutto quello/ che racconta di se stessi”. – “Senza riserva alcuna”
Le liriche presenti in “Maschera” sono devote alla semplicità dello stile e del messaggio, la stessa è delineata come un mito da onorare e da perseguire per accedere alla purezza della vita. In diversi momenti, le tematiche partecipano di una ritrovata genuinità fortemente assimilata alla follia, una percezione che l’autore descrive nella penultima silloge “Follia” e che accompagna il lettore nella narrazione delle simulazioni umane.
L’inno alla vita è costante ed appartiene ad un’idea atemporale di comprensione e di pacificazione. L’autore, infatti, determina un’ascendente positivo verso l’ambiente naturale e gli esseri che lo abitano, anche quando è presente una terribile tempesta che spazza via tutto. Sono sottigliezze che precisano un’anima aperta ai segnali esterni, sono versi leggeri che scivolano durante la lettura.
“Mi risveglio/ dopo esser stato in un incubo,/ gli occhi mettono a fuoco/ e l’anima si ritrova in ginocchio,/ cerca di raccogliere i cocci.// “Una tempesta/ ha spazzato via tutto,/ terre aride/ e deserte di ogni luce,/ solo agli occhi può giovare;/ il tempo, questo tempo/ non ha ormai senso.”// Solo rami bruciati/ restano a raccontarmi/ quanto nessuno potrà mai capire,/ perché troppo lontane/ le menti dai cuori che piangono.” – “Tempesta”
La struttura di “Maschera” è circolare ed è costituita dalla sequenza continua di una prosa annunciante il tema affrontato, una citazione degli autori amati (Alda Merini, Pablo Picasso, Luigi Pirandello, Italo Svevo, Nazim Hikmet), e le liriche che compongono ogni intermezzo. Cinque brevi capitoli nei quali si discute d’amore, di vita, di inganni, di natura e della realtà delle maschere.
” […]/ Chissà quando/ tornerò gabbiano/ per respirare/ libertà”. – “Urla il mare”
Foto di copertina by Antonio Cacciola
Written by Alessia Mocci
Addetto Stampa (alessia.mocci@hotmail.it)
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