Et voilà: legge sull’omofobia anche a livello locale. E’ quello che accade nel Consiglio provinciale di Trento dove ieri ha preso ufficialmente avvio l’iter del disegno di legge n. 2/XIV/XV d’iniziativa popolare concernente “Disposizioni per il contrasto alle discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere o dall’intersessualità”. Per la verità è la seconda volta che succede dato che lo stesso testo era stato presentato nel corso della precedente legislatura ma lo scadere della stessa aveva impedito un’approvazione che, con l’attuale maggioranza di centrosinistra, ora nessuno pare possa evitare. La proposta legislativa, strutturata in sedici articoli, si presenta come un concentrato di teoria gender a dir poco formidabile e persino superiore, per densità ideologica, a quanto si è finora visto a livello nazionale.
Vediamo in sintesi di che si tratta a partire dalla definizione – quanto meno curiosa – di «identità di genere», quale «identificazione primaria di ogni persona come maschio o femmina o altro, indipendentemente dall’attribuzione del sesso biologico» (art. 2, comma 1, lettera b). Qui l’uomo della strada, ancora poco pratico del vocabolario gender, potrebbe domandarsi cosa mai significhi «identificazione primaria di ogni persona come maschio o femmina o altro», soprattutto quell’indefinito «altro» che, oltre a fare a pugni con la precisione propria del lessico giuridico, è l’opposto di qualsivoglia forma di identità. Ma siamo solo l’inizio. La proposta di legge prevede pure la definizione – altrettanto opinabile – del «co-genitore» individuato come «persona che, condividendo il progetto di genitorialità con il partner, genitore giuridicamente riconosciuto tale dall’ordinamento italiano, svolge socialmente e nei fatti il ruolo di genitore» (art. 2, comma 1, lettera b): alzi la mano chi non coglie in questo giro di parole una forma di chiaro riconoscimento delle coppie omosessuali. La cosa è talmente palese che non richiede alcun commento ulteriore.
Sempre in tema di definizioni, pur ricorrendo con disagio alle vetuste categorie “maschile” e “femminile”, nel testo si precisa di non voler limitare ad alcuno la possibilità di sentirsi uomo o donna e dunque escluso dalle misure previste: «La declinazione al genere grammaticale maschile dei termini che identificano i destinatari di questa legge è inclusiva dei beneficiari che hanno un’identità femminile» (art. 2, comma 2). Come a dire: io legislatore quando parlo del genere maschile intendo anche il femminile; la realtà dell’identità sessuale viene così polverizzata e ridotta a mero «genere grammaticale». Anche su questo il nostro uomo della strada potrebbe comprensibilmente manifestare confusione, ma niente paura. Proprio nella consapevolezza che si tratta di forti “innovazioni”, gli autori della proposta di legge sottoscritta da 7.000 cittadini hanno previsto sia un inserimento di questi «temi nei programmi di educazione alla sessualità e affettività rivolti agli studenti, includendovi informazioni sulle tecniche contraccettive» – un po’ di contraccezione in più, si sa, non guasta mai -, sia la programmazione di «iniziative d’informazione periodica rivolte al personale provinciale» (art. 7 comma 2). Due piccioni con una fava, dunque: studenti e dipendenti provinciali, se questo disegno di legge ora all’esame della Commissione competente verrà approvato, saranno tutti rieducati al pluralismo gender e alla lotta contro l’omofobia.
Sì, perché la proposta legislativa, come si diceva poc’anzi, nasce anzitutto per contrastare questo fenomeno che però – analogamente alla proposta Scalfarotto – si guarda bene dal definire, lasciando così la libertà all’interprete di turno di estendere la propria concezione di omofobia a piacimento. Davvero curioso, anche perché nel testo, all’articolo 2, campeggia una vera e propria rosa di definizioni – ci sono quelle di «genere», «identità di genere», «orientamento sessuale», «intersessualità», «transessuale», «transgender», «co-genitore» – ma di una formulazione del concetto di discriminazione omofobica, guarda caso, neppure l’ombra. Manca poi la previsione di sanzioni penali, essendo quello ambito di competenza statale, ma nell’insieme il disegno di legge n. 2/XIV/XV, con la sua voluta vaghezza da un lato, e la sua portata “innovativa” per esempio col riconoscimento del ricordato «co-genitore» dall’altro, ha tutti gli ingredienti per suscitare inquietudine in un Trentino dove una politica seria, con una provincia che sconta tassi di natalità cimiteriali, avrebbe ben altro di cui occuparsi. Una legge del genere, o meglio del gender, dovrebbe spaventare soprattutto coloro che si ostinano, quei testardi, a concepire la famiglia come formata dal matrimonio fra uomo e donna e vorrebbero che anche i loro figli – anziché esaltarsi per un mondo suddiviso fra uomini, donne e «altro» – crescessero con quest’idea.