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Maschio o femmina? non sessista lo vorrei…

Da Jessi
Maschio o femmina? non sessista lo vorrei…

Foto aggiunta 11-xii-2011

Quando parliamo di ‘medici’ ‘dottori’ ‘giornalisti’…’bambini’… intendiamo parlare di uomini o di donne? o di entrambi? La nostra lingua distingue il genere grammaticale nei nomi, ma al plurale si è ‘costretti’ ad usare il maschile e spesso si usa il maschile ‘generico’ anche al singolare. Siamo sicuri che così facendo non si oscuri l’identità dei soggetti di cui parliamo? che ripercussioni hanno queste scelte linguistiche sulle percezioni e sull’immaginario delle persone? Il guest post di oggi è l’estratto di una tesi di laurea che ha provato a testare questo punto con una metodologia sperimentale nuova, ideata per le finalità della tesi. Ringrazio Pierpaolo che ci ha mandato un estratto del suo lavoro, cui ho partecipato come relatrice.

Pubblico proprio oggi questo articolo, per commemorare il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

 ……………………

Ciao, mi chiamo Pierpaolo e sono il papà di Giulio di cinque anni e Bianca di due anni, che per ora dice pochissime parole. La mia attenzione è caduta su alcuni comportamenti, frasi ed espressioni di Giulio. Nella mia tesi, ipotizzavo all’origine delle convinzioni stereotipate e dei pregiudizi il linguaggio dei media, le convinzioni sociali diffuse in determinati gruppi.

Maschio o femmina? non sessista lo vorrei…
Sam il pompiere

Ma in un bambino di cinque anni cosa può originare determinate convinzioni? Mi spiego meglio con alcuni esempi.

Alcuni giorni fa, mio figlio stava sfogliando un libretto con immagini di camion, ruspe e affini e ha iniziato a ridere.

Nel libretto c’erano le foto di un camion dei pompieri e di un autotreno….. guidati da due donne! Mio figlio mi domanda: papà, ma le donne fanno il pompiere e guidano i camion? Prima ancora di darmi il tempo di rispondere, lui continua da solo e con aria quasi seccata dice: ma nooooooo! Quindi per mio figlio alcuni mestieri sono esclusivamente lavori maschili. Sono rimasto sorpreso anche perché in uno dei suoi film preferiti (Il cane pompiere) e in un cartone animato che guarda (Sam il pompiere) ci sono due donne vigili del fuoco. La mamma guida e quindi anche questo potrebbe essere per lui un suggerimento inconscio che le donne possono condurre i mezzi esattamente come gli uomini. E quindi?  Un’altra conferma l’ho avuta guardando un film. C’era una donna alla guida di un taxi e ne ho approfittato per fargli notare, nel caso ce ne fosse ulteriormente bisogno, che quella signora guidava e che il mestiere di conducente può essere svolto da uomini o donne indistintamente e altrettanto bene. Non faccio tempo a finire la mia spiegazione, e la tassista del film fa un incidente. Non vi dico le risate di Giulio e i commenti. Possibile che a cinque anni Giulio abbia la convinzione che le donne non possono fare determinati mestieri e che guidano male?

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Professioni e stereotipi di genere

Diverse volte ho portato mio figlio dove lavoro io. Sono un agente della Polizia di Stato e ho diverse colleghe. Eppure, pur avendo visto molte volte delle poliziotte, mi figlio continua a chiedermi se le poliziotte esistono. Anche in questo caso, nonostante l’esperienza diretta e la mia conferma alla sua domanda, nutre sempre dei dubbi (a questo link, qualche dato sui 50 anni delle donne poliziotto). Cos’è che agisce sulle sue convinzioni con più forza delle nostre esperienze?

Il caso opposto ci capita quando mia moglie è al lavoro e cucino io. Puntualmente mi sento chiedere: ma fare da mangiare è un lavoro da donna? Probabilmente vedere la mamma, le nonne, le cuoche dell’asilo e le mamme dei personaggi dei suoi libri cucinare, è nata e si è radicata in lui questa idea.

Dove nascono queste associazioni in bambini così piccoli? quanto sono diffusi gli stereotipi di genere? Avete constatato gli stessi comportamenti? E come è possibile provare a correggerli?

Allego un estratto della tesi e alcuni riferimenti e link per chi volesse approfondire l’argomento, specialmente con i bambini e nelle scuole!

Estratto della tesi: Pregiudizi e stereotipi sessisti e razziali. Una verifica sperimentale attraverso la lettura di articoli di cronaca

Metodologia

Dopo un’introduzione teorica che non allego, ho cercato di creare con le mie relatrici una metodologia che permettesse di valutare l’eventuale presenza di stereotipi nel corso della lettura di articoli di cronaca e il ruolo del linguaggio nel veicolarli. Lo studio è stato condotto grazie alla collaborazione di 40 persone, di cui 20 donne e 20 uomini, in possesso di diploma di scuola superiore, di un’età media di 33 anni per gli uomini e 39 per le donne, di nazionalità italiana ed esercitanti tutti la stessa professione (impiegati nella pubblica amministrazione). Queste persone sono state scelte con l’obiettivo di avere un campione omogeneo per estrazione sociale e culturale. La ricerca si è svolta nel mese di gennaio 2009, a Milano.

In questa sede, descriverò soltanto la parte del mio lavoro relativa allo studio dei pregiudizi sessisti.

Abbiamo scelto un articolo (fonte: Corriere della Sera. 19 dicembre 2008) in cui si descrive una nuova tecnica neurochirurgica sperimentata da due medici, una donna e un uomo. Il nostro scopo era di indagare gli stereotipi professionali di genere, cioè valutare l’eventuale presenza di pregiudizi legati al sesso dei protagonisti in rapporto alla professione in esame e al tipo di scelte linguistiche adottate nell’articolo.

I due medici protagonisti, infatti, sono una donna e un uomo, ma, nell’articolo originale l’unico indizio che permetta l’identificazione del sesso dei due protagonisti è il nome personale, citato tra l’altro una sola volta, di passaggio, in una tipologia di testo che di solito viene letta molto cursoriamente; in tutto il resto dell’articolo viene utilizzato il maschile plurale generico, come illustro di seguito:

1. unica citazione dei nomi per esteso, da cui si può inferire il sesso dei protagonisti: “l’equipe medica guidata dai neurochirurghi Sergio Canavero e Barbara Massa Micon”;

2. tipologia delle altre strategie referenziali: “l’annuncio dato ieri mattina da Canavero e Massa Micon”; “i chirurghi”, “i due neurochirurghi Canavero e Massa Micon”, “i neurochirurghi torinesi”

Per quanto l’uso del maschile generico sia previsto e legittimato dalla grammatica, la letteratura di genere lo critica perché non rende identificabile il genere e ‘nasconde’ le donne dietro questo tipo di uso.

Il testo dell’articolo è stato, poi modificato eliminando la citazione per esteso dei nomi, ma lasciando invariato tutto il resto, per valutare se il maschile plurale generico potesse far ipotizzare, alle lettrici e ai lettori da me coinvolti nel progetto, la presenza di una protagonista femminile.

Abbiamo suddiviso i partecipanti in due gruppi di 20 persone ognuno (di cui 10 donne e 10 uomini). Ai due gruppi sono stati richiesti due compiti diversi, da eseguire dopo la lettura dell’articolo:

1. un gruppo doveva completare una scheda anagrafica sui protagonisti degli eventi, inventando i dati mancanti in modo compatibile con quanto esplicitamente emerso dagli articoli (i dati da inserire erano: età; nazionalità; sesso; professione).

medico 1:età______________________nazionalità________________sesso_____________________professione________________ medico 2:età______________________nazionalità_______________sesso____________________professione_______________ paziente :età______________________nazionalità________________sesso_____________________professione________________

L’altro gruppo doveva associare ad ogni personaggio descritto nell’articolo un volto tra quelli proposti in una serie di fotografie, di donne e uomini, compatibili con i profili dei protagonisti (ho mostrato cinque fotografie di medici di sesso femminile e cinque di medici di sesso maschile, tutti ritratti con il camice bianco). In questo caso, mostrando le fotografie, ai soggetti veniva dato indirettamente un “suggerimento” sul sesso dei medici dell’articolo e quindi un dato particolarmente sensibile ai fini della ricerca. Lo scopo di questo secondo esperimento era vedere se, stimolati dalle informazioni in più fornite indirettamente attraverso le fotografie, i soggetti facevano scelte diverse rispetto ai soggetti del primo esperimento.

Finalità dello studio

Maschio o femmina? non sessista lo vorrei…
Medici

Ci siamo chiesti:

l’uso del maschile generico è davvero tale? Cioè impedisce o meno l’ipotesi, da parte delle lettrici e dei lettori, che dietro la forma maschile siano presenti protagoniste femminili?

Le lettrici o i lettori si comportano diversamente di fronte all’interpretazione del maschile generico?

La presenza di immagini di probabili protagoniste e protagonisti influenza, e in che direzione, le scelte delle persone intervistate?

Le statistiche (cioè nel nostro caso il numero reale di medici maschi o femmine) sostengono l’interpretazione data dalla maggioranza delle persone intervistate?

Esiti dello studio

Le risposte date sono riassunte di seguito:

senza vedere le foto, il 95% delle donne e il 95% degli uomini ha risposto che entrambi i medici erano uomini; soltanto, dunque, una minima percentuale, pari al 5%, sia tra le donne che tra gli uomini, ha detto che uno dei due medici poteva essere una donna;

la percentuale è cambiata mostrando le foto: in questo caso, il 40% delle donne e il 20% degli uomini ha risposto che uno dei due medici poteva esserci una donna;

la differenza tra partecipanti donne e partecipanti uomini del fornire le risposte, è emersa dunque solo nel secondo esperimento.

Proposte di analisi dei dati emersi

Nell’articolo originale non ci sono indicazioni sull’età dei due neurochirurghi (Sergio Canavero ha 44 anni, Barbara Massa Micon 39, fonte), tuttavia, da altre indicazioni del testo, i venti soggetti che hanno completato la scheda anagrafica hanno attribuito ai medici un’età media di 44 anni (43 anni la media delle risposte dei dieci soggetti maschili, 45 anni la media delle risposte dei dieci soggetti femminili).

Le statistiche dicono che ad essersi iscritte nel 2008 al primo anno delle facoltà di medicina italiane sono 4317 donne su un totale di 7673 studenti: 56 su 100, la maggioranza. Se si considerano le persone in attività in ambito chirurgico, divise per fasce di età, si nota che:

tra i 25 e i 29 anni la percentuale delle donne è del 63,4%, tra i 30 e i 34 anni del 59,6%, tra i 35 e i 39 del 51,9%.

Il calcolo dettagliato fa parte di una relazione di Maurizio Benato, vicepresidente Fnomceo, la federazione che riunisce tutti gli Ordini dei medici d’Italia (fonte).

Maschio o femmina? non sessista lo vorrei…
Medici

Le riflessioni tratte dagli esiti delle interviste, riguardo all’uso del maschile generico nel caso della professionalità e del testo esaminati, sono i seguenti:

di fronte all’uso del maschile generico, nel primo tipo di compito, solo il 5% degli uomini e 5% delle donne ipotizza la presenza di una donna;

con l’ausilio delle foto, soprattutto tra le donne è aumentata la percentuale delle persone che ipotizzavano fosse coinvolta una donna (40%);

per quanto riguarda l’immaginario collettivo, sembra esserci un condizionamento non motivato dalle statistiche sulla professione indagata, almeno per quanto riguarda la fascia d’età coinvolta nell’articolo utilizzato per l’esperimento.

Conclusioni

La conclusione che si può trarre è dunque che, come consigliava già la linguista Alma Sabatini, e con lei le altre studiose e gli altri studiosi, l’uso del maschile generico è sconsigliato.

Il mio contributo credo dimostri che questa attenzione all’uso del linguaggio non sia motivata solo da ragioni ideologiche di una (legittima) richiesta di parità linguistica, ma anche dal fatto che, alla prova dei fatti, il maschile non viene elaborato dai lettori come ‘generico’ cioè inclusivo anche delle donne, ma, almeno nel caso da noi esaminato, come un maschile tout court.

Suggerimenti per studi ulteriori

Altre prove sperimentali, come quelle che riassumo di seguito, potrebbero ulteriormente approfondire questo risultato, permettendoci conclusioni e generalizzazioni più forti:

confrontare le risposte qui discusse con quelle fornite dalle lettrici e dai lettori dell’articolo originale (in cui la specificazione di genere compare, ma una sola volta e attraverso la citazione del nome proprio);

studiare gli effetti, nei lettori e nelle lettrici, dell’uso del maschile generico, singolare e plurale, nei testi in cui questo è normalmente in uso senza mai essere sottospecificato (‘gli studenti, ‘dal ginecologo’, ‘il tuo bambino’, ‘io bimbo’, etc.);

studiare gli effetti di strategie alternative più esplicite e informative in relazione anche alle diverse tipologie di lettura dei diversi tipi di testo (ad es. “l’equipe medica guidata dai due neurochirurghi, un uomo e una donna, Sergio Canavero e Barbara Massa Micon…”).

La tesi è citata nel testo Mi fai male… curato da G. Giusti e S. Regazzoni, è stata lo spunto per la scelta metodologica dello studio di Aureliana di Rollo (in Che genere di lingua? Sessismo e potere discriminatorio delle parole a cura di M.S. Sapegno, Carocci: 153-172) e mi ha permesso di vincere la VII edizione del Premio Palatucci istituito dalla Polizia di Stato.

Per conoscere il progetto Sui generis, che ha indagato il sessismo nelle scuole e propone una metodologia per contrastarlo, consiglio questo link

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Autore del Guest Post:

Pierpaolo Zaccaron ([email protected])


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