Si è laureato in agraria, o qualcosa del genere, con una tesi sulla riqualificazione ambientale delle sponde del fiume Musone, e ha deciso di coltivare la terra secondo i suoi principi e le sue idee. Ovvero, non seguendo la moda del biologico che, secondo lui: “È ‘na minchiata”, ma con la mentalità del contadino di una volta, che decideva a seconda delle necessità, quando, come e se usare i prodotti chimici. E i risultati sembrano dargli ragione, se non economicamente, almeno in termini di qualità. Le melanzane, che l’altro giorno ha definito esterrefatte, sono ottime, e a un prezzo quasi irrisorio. Meloni e angurie hanno una dolcezza e una compattezza che a Milano te le sogni. I fagiolini li sceglie uno a uno, scartando quelli storti, perché dice: “Sennò me rompono li cojoni”. Quello che vende è stato raccolto al più tardi il giorno prima e si sente.
Mi riesce difficile descrivere Massimiliano perché è un fuoco d’artificio, un dialogare senza capo né coda, un florilegio di bestemmie frammiste a esclamazioni quali meeravigliooso, siete faantastici! e roba del genere.
Ieri siamo andati a trovarlo al suo campo di Recanati, tra il fiume Musone e la città alta; un fazzoletto di terra in cui riesce a seminare un po’ di tutto. Meloni, angurie, peperoni, pomodori di almeno tre varietà, fagiolini, zucche e zucchine, insalata e quello che è più adatto alla stagione.
In fondo al campo, ha mantenuto un roccolo, che è una specie di baracca di legno che usavano i cacciatori per sparare agli uccelletti, in cui: “Ci abbiamo fatto la festa de laurea, con ‘na porchetta che ci ha dato uno qui vicino, ‘na grigliatina de robe varie, tutte le lucette colorate appese agli alberi, la birra alla spina e un mio amico che di notte giocolava coi birilli infuocati, ché la nonna s’era esaltata e non vuleva più andà a durmì. La nonna che c’ha messo i soldi per comprà il trattore, anche se non c’è mai salita. Amo tirato fino a mattina e poi me sò messo a dormì in macchina perché nun capivo più un cazzo”.
Fa strano che debba portare i miei figli a vedere com’è fatto un campo di cocomeri, o dove sono attaccati i fiori di zucca che poi sono di zucchina, o le piante di pomodori, che bisogna sostenere una a una con le cordicelle. Poverini, non è colpa loro, come si può immaginare qual è lo stato naturale di verdure che, al supermercato, sembrano nate già dentro le vaschette di polistirolo? Come è possibile spiegare loro quanta fatica costi raccoglierle sotto il sole d’agosto, dalla mattina alle cinque fino alla sera alle nove? Perché è questa la vita che fanno Massimiliano, la zia, lo zio e sua madre. Dice che per ora riesce a dare uno stipendio di mille euro solo allo zio, alla zia paga il tempo che l’aiuta a vendere ai mercati e alla madre poco o niente. Lui non ha stipendio: quando ha pagato il mutuo del campo, le spese varie, la benzina e compagnia bella, se resta qualcosa bene, sennò va bene lo stesso. “Io sono contento così. Certe volte te girano li cojoni, sei incazzato perché vedi tutta ‘sta gente che ruba, che prende stipendi de quattro o cinquemila euro senza fà 'n cazzo, poi, guardo la campagna, le colline, gli alberi, me faccio la mia cromoterepia personale e me passa”.
Gli ho domandato se avesse mai pensato ai gruppi d’acquisto solidali. Mi pare che tanti contadini siano riusciti a costruirsi una vita dignitosa senza ammazzarsi di lavoro o passare attraverso le mani di intermediari senza scrupoli. Ma forse è una realtà che è difficile da immaginare al di fuori di una grande città, e infatti non è sembrato molto interessato all’idea. O forse perché le sue energie e le sue speranze sono riposte nel sogno di riqualificare, in collaborazione con le istituzioni e gli operatori turistici della zona, le sponde del Musone e realizzare una pista ciclabile che arrivi fino al mare, così: “Quelli che se fanno ‘na vacanza al mare, ogni tanto inforcano la bici, se fanno un giretto fino a qui, possono comprà la verdura, fare ‘na grigliata in riva al fiume e diavuleri vari e, se c’hanno voglia, se possono fermà a dormire in un paio de bungalow”. E poi scoppia a ridere che lo sentiranno pure ad Ancona, ti abbraccia, ti bacia e ti dice: “Siete meeraviglioosi! De famije come la vostra nun se ne vedono, ve vojo bene, ve giuro, siete veramente fantastici! Ve voglio offrì qualcosa dài, ve taglio n’anguria bella fresca, ce facciamo ‘na merendina, ce rinfreschiamo un po’!”.
Sarebbe come rifiutare un caffè in casa d’altri. L’anguria è davvero fresca, è dolce, dissetante, è qualcosa offerto col cuore e perciò ancora più buono.
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