Massimo Bontempelli, Bontempelli Massimo – BINARI (13)

Creato il 08 febbraio 2011 da Sulromanzo

L’affanno del letterato nella “Vita operosa” e nella “Vita intensa”

“Molti, in questa facile èra, sono riusciti ad afferrare la ricchezza e il potere incontrando molto minori e più semplici occasioni di quelle che si sono presentate a te” (Massimo Bontempelli, La vita operosa, Mondadori). Già, ma lui è un letterato, così se deve promuovere il bar Lotòs consiglia, tra l’altro, “una lettura e commento del libro IX dell’Odissea, dove si parla del loto”; per sostenere la speculazione edilizia suggerisce di fondare “una rivista d’arte, dedicata specialmente al rinnovamento dell’architettura”, in cui acclamare il cemento armato e le case a molti piani; dinanzi all’innovazione tecnologica fugge inebetito. E se Milano è pur sempre la Città Operosa, in cui a ciascuno è offerta la possibilità di realizzarsi, constatato il fallimento di tutte le proprie iniziative non resta che farsi raccomandare da Sua Eccellenza, salvo poi mancare l’appuntamento persi dietro le proprie fantasticherie…

Provate a indovinare in che anno è stato pubblicato il romanzo in questione, La vita operosa: dubito vi azzardereste a dire 1921! Ebbene queste riflessioni hanno quasi un secolo e Massimo Bontempelli (1878-1960) ce le offre in una delle sue due opere più avanguardiste (fuori dal catalogo Mondadori da forse un ventennio). Lo stesso spirito dissacrante e la medesima ambientazione nel capoluogo lombardo caratterizzano anche La vita intensa, recentemente riproposta da ISBN (Dio salvi la piccola editoria). Qui alla berlina non sono più la società moderna e i biechi dettami del capitalismo, bensì le forme della tradizione letteraria e gli incontentabili e ottusi lettori.

Il lettore non sa leggere. Legge i romanzi e ascolta i drammi con lo stesso animo piccino con cui legge gli incidenti di cronaca nera […], o ascolta i fatti dei suoi vicini di casa in portineria; s’interessa agli episodi bruti, non alla lirica delle creazioni che ne emanano. E noi scrittori ci obblighiamo a servirlo, e, per conciliare la necessità di farci leggere volentieri dal contemporaneo con il desiderio di lasciare al postero qualche traccia del nostro passaggio mortale nel mondo, dobbiamo nascondere tra le pieghe di quei fatti bruti qualche favilla di misterioso lirismo e di eterna verità. Il tempo forse soffierà sulla cenere e il postero scoprirà la favilla: per ora il contemporaneo si ciba bestialmente della cenere” (Massimo Bontempelli, La vita intensa, Mondadori)

Bontempelli non solo biasima il lettore senza alcuna reticenza, ma ha anche il pregio di non curarsi affatto di contraddire se stesso con questo metaromanzo, che si fa beffe di ogni codice narrativo: ciascuno dei dieci capitoli della Vita intensa è parodia e scomposizione di un genere letterario, sino all’ultimo pirandelliano capitolo in cui tutti i personaggi apparsi vengono convocati nella casa del narratore (morto e trasfigurato nei capitoli V e VI) e questi si sdoppia diventando a sua volta personaggio. Insomma ogni schema romanzesco viene contemplato e rifiutato e, non a caso, il sottotitolo è Romanzo dei romanzi.

Perché, nonostante il grande successo avuto tra le due Guerre e negli anni immediatamente successivi (nel 1953 vinse il Premio Strega con i racconti dell’Amante fedele), Massimo Bontempelli è stato quasi rimosso dalla memoria letteraria? Almeno due le cause, il suo legame con il fascismo e la poetica del realismo magico, a cui si lega la sua produzione successiva al 1926, fortemente avversata dal neorealismo del dopoguerra.

Perché non viene oggi riproposto con più sistematicità? Suppongo perché amiamo ancora cibarci “bestialmente della cenere”…


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