La camera delle bestemmie, colonna sonora: “I love my computer” dei Bad religion.
Bibita fresca, pacchetto di sigarette appena scartato, due cuscini sulla poltrona, voglia de lavorà saltame addosso e sono perfettamente equipaggiato ad affrontare, in questo pomeriggio novembrino di un autunno dolce come pochi, il mio primo incarico di tutto riposo da mesi a questa parte.
Sarà stato l’occhio ceruleo, sarà stata la minaccia di fumarmi l’ultimo libro di Bruno Vespa o, peggio ancora, la pretesa di essere pagato con tanto di arretrati, fatto sta che le teste d’uovo della redazione si sono dovute arrendere di fronte al mio fermo e irremovibile proposito di regalarmi per questo mese un lavoretto tranquillo e rinunciare all’idea di mandarmi ad una rassegna di cinema talebano-asiatico-indocappadocico e via dicendo, come già progettavano.
Opzioni che peraltro non mi sarebbero dispiaciute, se non fosse che l’andarci in veste di media partner comporta una serie di responsabilità molto impegnative.
Ora, se già normalmente la parola “responsabilità” basta a scombussolarmi il ciclo mestruale, non voglio nemmeno immaginare che danni potrebbe provocarmi adesso che esco dal periodo di superlavoro estivo, innaturalmente prolungato fino ad ottobre con un carnet di impegni per il dopo Natale già così folto da farmi star male.
E poi il corto che mi accingo a recensire lo avevo nella pila delle pratiche da sbrigare fin da fine luglio.
Va bene che, come disse una mia ex mollandomi nei lontani anni 90, sono un inaffidabile geneticamente potenziato, ma qui rischio di fare proprio la figura del buffone.
Alla faccia di tutte le menate che vi propino sempre sull’etica e la deontologia professionale.
In ultimo, questo benedetto corto è carino e il regista pare pure un tipo simpatico.
Senza dubbio uno spostato, ergo una persona con cui intendermi senza troppe difficoltà.
E difatti, dopo la recensione vi sparo anche l’intervista con l’autore!
Quindi preparatevi che andiamo a incominciare.
Il corto si intitola “No redemption with Don Mitraglia”, è girato nel 2012 ma si presenta con uno stile e una fotografia in perfetto stile anni 70.
L’idea, dopo i revival proposti da Tarantino e Rodriguez non sarà il massimo dell’originalità ma è sempre accattivante.
La formula è quella del trailer cinematografico di un ipotetico e – speriamo – futuro film.
Il richiamo alla trovata che lanciò la fortunata doppietta di “Machete” è evidente, ma vederla in salsa spaghetti è tutt’altra cosa.
In effetti noi, che abbiamo creato buona parte dell’epica a cui attinge il nuovo cinema Pulp, abbiamo per diritto di nascita una padronanza con una variegata gamma di autori che vanno da Leone a Margheriti che gli americani potranno solo sognarsi la notte.
Qui parliamo di DNA, mica pizza e fichi!
La fotografia, abilmente tirata su pellicole economiche e sgranate, il colore e gli effettacci artigianali sono cosa nostra, e nel corto, nonostante le nuove tecnologie, sicuramente usate in modo abbondante ma discreto, emerge una familiarità col cinema artigianale del caro e vecchio cinema che fu, tipicamente mediterranea.
Ma prima di andare avanti, parliamo, o meglio io scrivo e voi zitti, di quello che proprio non mi è piaciuto.
Cosa?
Chi mi conosce può indovinare facilmente cosa non mi può piacere in un lavoro che aderisce per tematiche ed estetica al mio gusto.
Il sasso nella scarpa è che ovviamente mi trovo davanti all’ennesimo bel lavoro del genio nostrano girato in Inglese.
In questo caso in puro Tor Marancia’ slang!
Lo so, con questo campanilismo linguistico rompo l’anima ogni volta, ma considerate la mia come la crociata di chi proprio non si rassegna alla colonizzazione: portate pazienza.
Non mi fraintendete, il corto mi garba – e nemmeno poco!
Figuratevi un mangiapreti come me come può reagire davanti alla messa in berlina di tutto il baraccone clericale, condito con secchiate di sangue, nella miglior tradizione del gore vecchia scuola.
Suorine rivisitate in versione “Faster pussycat kill kill kill” , preti ninja, sante macchine da guerra e per finire, scena orgasmo multiplo e ritardato, il Vaticano che salta in aria con un botto che nemmeno a Piedigrotta ne fanno di così belli.
Ma in questi 7 minuti o giù di lì, ci sono citazioni per tutti i gusti.
Dai font iniziali presi da “Il buono, il brutto e il cattivo” al recupero dei vecchi telefilm trash, o cult a seconda di come li si voglia definire, tipo “Kung fu” o “L’uomo da sei milioni di dollari”.
Don Mitraglia, il protagonista di questo “catholic metropolitan western”, interpretato da Frank Nery, alter ego di Domenico Montixi, il regista , sembra il Mario Brega dello spaghetti western nella sua forma migliore.
La cosa sbalorditiva è come sia riuscito Domenico a infilare ed incastrare in questa piccola perla così tanti richiami nel poco tempo del filmato.
Ma questo lasciamo che sia lo stesso autore a dircelo.
MB: dunque, leviamoci il dente e parliamo subito della cosa sgradevole nel tuo corto.
bello, spiritoso, ben girato.
Chiarissimi e apprezzabili i riferimenti a Sergio Leone e ad altri mostri sacri del cinema di genere Italiano.
Dunque, come cazzo è possibile che sia girato in Inglese?
DM:…Beh, è stata una soluzione stilistica, ma anche, ovviamente, funzionale, di comodo: volevo che il corto fosse fruibile ad un numero più vasto possibile di persone. D’altronde, la struttura è un qualcosa a metà tra il corto di narrazione e il fake trailer, quindi l’inglese si sposava meglio con quest’ultimo genere di operazione. E io quel tipo di voce off che rimanda alle grafiche non me la riuscivo ad immaginare in italiano. Quindi l’inglese è stato una scelta naturale, non forzata. me lo immaginavo così sin da quando mi è venuto in mente, e così è stato.
D’altronde, non ci trovo niente di male. Io lo vedo come il trailer di un film italiano di serie B degli anni 70 che, come spesso succedeva all’epoca, veniva realizzato con un occhio all’estero, e col tentativo di spacciarlo per una produzione americana. D’altronde, è un inglese così semplice e maccheronico, elementare, a volte volutamente sgrammaticato, che è comprensibile anche a chiunque non mastichi la lingua… Anzi, è forse più difficile da percepire per un anglofono…
MB: In Francia o Spagna quello della lingua non è un peccato veniale.
Lo sai che siamo tra i pochi in Europa ad avere questa tendenza nichilista verso il proprio patrimonio culturale?
DM: Non la vedo in questo senso, almeno per quanto mi riguarda. Ho usato l’inglese perché pensavo fosse più congeniale ad una cosa di questo tipo, ma non lo userei a prescindere. Poi credo che giusto la struttura, la confezione, ossia quella del trailer con voce off tonitruante, sia di derivazione nettamente americana; il resto, i riferimenti, mi sembrano cose rimasticate tanto dagli italiani nei confronti degli americani quanto l’esatto contrario. Non mi interessava fare un corto che avesse impresso il marchio del made in Italy D.O.C., quanto, più semplicemente, fare un corto come lo avevo in testa.
Io ad essere onesto poi, ci vedo poco anche di Tarantino e Rodriguez, a parte appunto la struttura fake-trailereggiante. Sia chiaro, nessuna presunzione verso due autori che stimo molto, specialmente il primo, per me nell’olimpo, e l’accostamento è onorevole e lusinghiero, è che semplicemente penso sia un operazione differente quella che ho svolto. Almeno, negli intenti. E l’intento era quello di fare una parodia – dove per parodia non intendo niente di esplicito, alla Hot Shot – che non arrivasse mai al dichiarato, quasi mai al platealmente demenziale, che si mantenesse sempre in bilico su una linea per cui è la “serietà” stessa con cui uno vestito da prete acceca un tizio con un crocefisso per poi sentenziare “An eye for an eye” ad essere demenziale e (spero) divertente.
Don Mitraglia nasce come un qualcosa che l’ipotetico, fittizio, regista degli anni 70, tale Leo di Fernando, ha girato con l’idea di fare il botto, non certo di parodiare gli stilemi del cinema di genere suo contemporaneo. È un qualcosa che l’ipotetico, fittizio, attore protagonista, il mio alter ego Frank Nery, ha accettato come fosse il ruolo della vita e come tale ci si è dedicato.
Probabilmente loro, a sentire una platea che davanti a Don Mitraglia se la ride di gusto ci rimarrebbero quanto meno stupiti… Dunque nella realtà, l’intento è ovviamente parodico, ma nella finzione di questa operazione, nel suo universo del 1975, quello alternativo della finzione, c’è l’assoluta serietà degli autori e attori fittizi. Ed è questo, che mi divertiva cercare di riportare e che spero sia divertente nella pratica.
Ma attenzione, non c’è nessuna presunzione, non c’è volontà di derisione, è anche e forse soprattutto un atto di amore. Anzitutto verso un sacco di bei films che mi sono piaciuti, girati da autori che mi hanno formato, ma sicuramente anche verso un sacco di film brutti che ho amato, appunto perché brutti. Perché per me i film brutti meritano immenso rispetto. Nell’inconsapevolezza del rendersi ridicoli, del portare avanti con serietà idee quantomeno balzane, c’è sempre nascosta la madre di tutte le risate, il divertimento sincero supremo. Io rispetto molto chi ha fatto quelle cose, con passione e un po’ di cialtroneria. Un film brutto è un qualcosa di molto più memorabile rispetto a qualsiasi film “carino” o mediocre del mondo. E io un film brutto sono capace di rivederlo anche dieci volte, un film cosìcosì lo guardo e dimentico in dieci secondi.
Ora sono tempi diversi, ora la cialtroneria è studiata a tavolino, ragionata e consapevole, vedi ad esempio le cose della Asylum, e non mi diverte più. Ecco, io giusto spero di non appartenere a questa categoria, è figlia di un cinismo che non mi appartiene. Io non disprezzo l’autore di un film brutto, se è pieno d’amore per il cinema, mi vien voglia di abbracciarlo e ringraziarlo.
MB: prometti di pentirti e fare ammenda nel tuo prossimo lavoro? se no mando Don Mitraglia a confessarti…..
DM: Per la lingua? Guarda, posso prometterti che se, putacaso, mi trovassi a girare un horror di ispirazione baviana, sarà assolutamente italiano, al 100%. Dipende dal riferimento!
MB: Ti ho tirato le orecchie, lo so. Ma chiunque accetti di farsi intervistare da Taxidrivers deve accettare anche il rischio di una critica.
Però il corto mi è piaciuto molto quindi dopo averti fatto stare in ginocchio sui ceci, direi che possiamo passare alle cose positive.
Il lavoro, per quanto breve, lascia trasparire senza meno una certa dimestichezza con la macchina da presa.
Vuoi parlarci della tua formazione?
DM: Mah, come tanti che fanno queste cose, sono sempre stato appassionato di cinema. Con l’avvento del vhs ho visto, negli anni 90, un sacco di roba. Ora molto meno, ma in quel decennio noleggiavo in continuazione, di tutto, ciò che pensavo potesse piacermi, fino alle peggiori schifezze. Quello, più un sacco di televisione. Ho tuttavia cominciato a fare cose con una telecamera piuttosto tardi, verso la metà del 2000. Ho collaborato a lavori altrui, come aiuto regia, come attore, o anche solo dando una mano sul set. Video musicali, spot, corti, quel che capitava. Il mio primo corto da regista l’ho girato credo nel 2009? 2010? Ma è venuto un tale abominio, per demeriti miei e della situazione che si è venuta a creare tra le persone del corso in seno al quale è stato realizzato, che niente è riuscito come volevo e ho preferito dimenticarmelo. Quindi Don, è a tutti gli effetti la mia prima “COSA”.
MB: Come nasce l’idea di Don Mitraglia?
DM: Nasce da un cazzeggio, credo non stupisca. Anni fa mi divertivo a realizzare delle finte locandine. facevo delle foto, mi veniva in mente in base all’atmosfera della foto, un genere e un titolo più o meno demenziale, ci mettevo due tagline, qualche font e grafica adatta e via, locandina pronta. Cazzeggio tra amici. Era il 2006 credo, quando ho fatto quella di Don Mitraglia, e ne abbiamo riso per un po’, e delineato un sottile background del personaggio. Mi sono reso conto che relativamente al Don c’era il potenziale per un qualcosa su scala più larga, ma l’idea è rimasta nel cassetto perché all’epoca non avevo né la possibilità né l’esperienza tale da girare qualcosa. Poi, improvvisamente, anni dopo, ho ritirato fuori il personaggio, per un piccolo promo amatoriale che ho fatto per partecipare ad un concorso indetto dai Calibro 35. E ho visto che il personaggio, ancora, divertiva. Qualche tempo dopo mi son detto: perché no? E l’abbiamo girato, pochi mesi più tardi.
MB: perché hai scelto la forma del trailer? C’è forse in cantiere un medio o lungometraggio su Don Mitraglia come fu per Machete?
DM: Ho scelto la forma del trailer perché mi sembrava fosse il modo per raccontare meglio tutto l’arco narrativo della storia di Don Mitraglia, dall’inizio alla fine, senza avere nessun tipo di budget. Oltretutto, era l’occasione di presentare il maggior numero di citazioni, gag e situazioni assurde, divertenti e grottesche senza doverle collegare troppo tra di loro, ma solo all’arco narrativo di cui sopra. Volevo che ci fosse un pout pourri di tutto quello che mi aveva colpito, in negativo e in positivo, di un certo tipo di cinema e tv, e in questo modo potevo farcelo stare praticamente tutto senza fare un qualcosa di lunghissimo. Già, per essere un trailer, ho sforato di qualche minuto…
L’idea del film però ha cominciato a balenarmi dopo averlo finito. Ho in mente una storia, che presenti in forma estesa e con alcune modifiche quanto si vede nel trailer, e che vada però oltre quello che, almeno nel trailer, sembra essere il finale…però, chissà. Dovrei trovare qualcuno abbastanza folle da produrmelo. Tra i lettori di Taxidrivers c’è qualche produttore…?
MB: nei credits ho visto che hai scritto, diretto e interpretato …. ti manca la produzione e farai come Orson Wells in Quarto Potere.
DM: Beh, considerando che me lo sono anche prodotto, per quel poco che c’è stato da produrre almeno in senso strettamente economico, direi che ci siamo! sono anche robusto e barbuto…mi manca giusto… Rosabella… no?
In realtà, come si può evincere dai crediti, c’è stato un grande numero di validissimi collaboratori, senza i quali non avrei fatto un bel niente. Era anche la prima cosa che giravo, dopo varie collaborazioni. I principali sono stati Stefano Deffenu, che è stato il mio aiuto regista e il montatore, e Matteo Ferreccio, che ha finalizzato il montaggio e si è occupato di gran parte della spinosissima postproduzione. Sono stati meticolosi e puntigliosi, e io lo sono stato con loro. Li ringrazio per avermi supportato e sopportato.
Loro sono i primi, ma ci sono tante altre persone che sono state fondamentali e disponibili sempre, cito Gianni Tetti, Bonifacio Angius, Roberto Achenza e Mario Alicicco, e i tanti altri che troverete nei crediti e che spero non si offenderanno se dimentico di citarli qua. Sembra la solita tiritera ma non c’è stata una sola persona tra chi ha partecipato alla realizzazione del corto che non sia stata importante per la realizzazione.
MB: Oltre al western dell’immancabile Leone ci sono richiami anche alle serie TV di fine anni 70, ormai cadute nel dimenticatoio anche per i più appassionati cinefili.
Vuoi dirci tu quali e Come ti è venuto di ripescarle?
DM: Ho vissuto di televisione fin da piccino. Ne ho guardate tante, troppe e i riferimenti sono stati naturali, inevitabili. Guardavo la tv praticamente senza filtri, e, come penso molti della mia generazione, ho cominciato a fruire del cinema grazie ad essa. Ed assieme ai film, mi sono sorbito serie tv, cartoni animati, di tutto. Il peggio e il meglio. Ecco qua, è tutta colpa della televisione!
Ora, nello specifico non me ne vengono tante in mente. C’è l’effetto sonoro de “L’uomo dai sei milioni di dollari” come notavi. C’è l’apparizione dei Papa-Boyz nello schermo suddiviso in 4 che è ispirata a quella dei classici nemici delle serie super sentai, alla Power Rangers per intenderci. Poi probabilissimo che ci sia finito in mezzo altro involontariamente! Nel caso invito a farmelo notare. Una cosa che mi diverte è quando vengono colte citazioni, anche di cose che in alcuni casi non ci sono… O quantomeno non sono volute. Io acconsento sempre e comunque.
MB: A parte la citazione di “Faster Pussycat”, traspare chiaramente una certa indulgenza verso le atmosfere rockabilly e di musica rock underground in generale.
Sul tema sono molto sensibile, visto che suono in un gruppo punk da 23 anni e senza sconti per buona condotta.
Tu quanto sei condizionato quindi da una certa scena controculturale?
DM: Non sono particolarmente esperto di musica, ma ho la tendenza ad ascoltare perlopiù cose degli anni 50/60. Quindi sì, anche rockabilly e rock undeground. Mi piace molto la scena garage dei 50 e 60, mi scarico e cerco compilation di gruppi sconosciuti, one hit bands. Mi piace tanto l’aspetto weird delle tematiche di molti di questi, avanti di vent’anni appunto rispetto alla scena punk, e per questo credo misconosciuti. Per quanto ne so infatti, almeno musicalmente, il punk di fine settanta deve tanto a quelle band.
Tutto questo non so quanto mi abbia condizionato in quel che ho girato, ma è una buona osservazione. Il rockabilly ha un estetica che mi ha sempre affascinato, probabilmente è in qualche modo scivolata dentro. C’è molto di me e del mio mondo di cazzate dentro Don Mitraglia.
MB: Gli attori e i collaboratori immagino siano tutti volontari.
Come nasce il tuo gruppo di lavoro?
DM: Volontari? Molti li ho praticamente costretti sotto minaccia armata. A parte gli scherzi, sì, sono tutti volontari e sono stati tutti molto disponibili. Per gli attori, ho scelto perlopiù le facce più convincenti tra le persone che conoscevo, e che pensavo fossero adatte alle parti disponibili. Con qualcuno avevo già lavorato, qualcuno aveva esperienze, altri no, ma sono riusciti tutti in quello che volevo. Per quanto riguarda il resto delle collaborazioni, sono state scelte naturali: con Stefano Deffenu siamo amici e si era già lavorato assieme a cose sue in precedenza, e si continua tutt’ora. Con Matteo Ferreccio non avevo ancora collaborato, ma sapevo che era esperto e meticoloso, una specie di Mac Gyver del computer, la persona giusta per il tipo di cosa che volevo realizzare. Tutti gli altri sono comunque persone di fiducia. Amici, persone con cui avevo lavorato, in egual misura.
MB: la scena di San Pietro che salta in aria l’ho particolarmente apprezzata.
Un tipico esempio di nuove tecnologie mischiate ad un gusto per la fotografia particolarmente retrò.
ce ne vuoi parlare?
DM: Ecco, questo è un aspetto che abbiamo curato molto. Io inizialmente avrei voluto utilizzare solo ed esclusivamente effetti pratici. Odiavo la cgi. Non volevo usare niente di creato al computer, nemmeno gli effetti degli spari. Poi mi sono trovato ad affrontare la dura realtà di chi non avrà mai soldi per fare altrimenti. È per quello che provo un po’ di astio quando un Rodriguez, che si pone di fare un operazione d’amore retrò, e di fronte ad un budget milionario, mette nel film su Machete i peggiori effetti digitali che si siano mai visti, tra schizzi di sangue finto e smitragliate. mi ha molto infastidito. È una negazione del suo passato di filmmaker a basso budget oltretutto. Non so, io spero si sia comprato una villa con quello che ha risparmiato solo di effetti, o almeno glielo auguro. La mia scelta è stata dunque obbligata, il che non vuol dire che non sia rimasto soddisfatto del risultato. Mi sembra una buona via di mezzo: cercare di rendere con il digitale un effetto reale, quindi anche brutto, malfatto, nel suo essere reale ma non VERO. Perché ovviamente, all’epoca, avrebbero fatto con un modellino. Quindi, piuttosto che utilizzare un effetto fotorealistico, poco in tono con l’effettistica dell’epoca, si è puntato su questo. Con Matteo Ferreccio, creatore di tutti gli effetti digitali presenti, abbiamo discusso molto su questo, e ci siamo trovati su questo punto di vista. L’effetto che vedi è opera sua. E lo sfondo, è una foto ritoccata, con l’esplosione che, se non ricordo male è presa da Zabriskie Point, ma la macchina che si vede ribaltarsi in primo piano, beh, quello è un modellino di auto, che lui stesso ha ripreso in green screen. La pensata di integrare la ripresa della macchina in primo piano è totalmente sua: io quasi mi sono commosso quando l’ho vista, sono cose che mi mandano in sollucchero.
MB: ti piacerebbe giare in 35mm?
DM: Mi piacerebbe molto, ma penso mi sarà sempre precluso. Spero un giorno di avere a disposizione un budget tale da potermi porre il problema, ma penso che il futuro sia nel digitale, volenti o nolenti è inutile opporsi. E poi, nel giro di dieci anni sono stati fatti passi da gigante, cosa sarà tra altri dieci? A quel punto, sarà possibile ottenere lo stesso identico effetto, compreso dei difetti della pellicola, delle sporcature, ad un costo infinitamente inferiore e a portata di mano. Spero arrivi presto quel giorno, anche se probabilmente nel frattempo, chissà, sarò finito sotto ad un ponte.
MB: due parole sulla scena indie in Sardegna (altro tema che mi sta a cuore visto che sono mezzo Sardo).
DM: Della scena indie, se intendi quella di chi fa video, corti e films etc, non ti saprei ben dire, se non delle persone che conosco. Credo ci sia un buon numero di persone molto attive, ma non saprei comparartela alla scena indie di un’altra regione italiana, quindi non saprei davvero poi dire se è così poi attiva rispetto al resto del mondo, o nella media o sotto la media. Io penso di conoscere persone di gran talento che fanno cose in questo ambito, Stefano Deffenu, Roberto Achenza, Matteo Ferreccio e Bonifacio Angius sono tra le prime che mi vengono in mente e che stimo di più. Penso che il loro talento vada ben oltre la scena indie sarda, ma che sia tale in senso assoluto.
Personalmente, non sono mai stato troppo attaccato all’essere sardo. Non fraintendermi, sono nato qui, sono contento di esserci nato, di averci casa e di averci conosciuto amici e collaboratori vari, ma è un posto come un altro. Forse non riesco a ragionare su una scena indie sarda, come non riesco a ragionare di “cinema sardo” come fanno in tanti, perché non riesco ad avere un idea così radicata del luogo di provenienza come motivo d’orgoglio o dote di merito. Son nato qua, invece che a Berlino o Timbuktu, non so quanto questo mi abbia dotato di pregi o di difetti o di elementi peculiari.
MB: domanda di rito…. quasi banale, ma siamo in chiusura.
Progetti per il futuro?
DM: Più che qualcuno. Vorrei girare un lungometraggio sul personaggio di Don Mitraglia. Ho qualche idea per vari corti. Quindi, i progetti ci sono, vediamo se ci saranno le possibilità di realizzarli (altra strizzata d’occhio ai produttori lettori della vostra rivista…)…mi piacerebbe tornare prestissimo a lavorare su qualcosa. Sto pensando anche al crowdfunding, ma boh, vedremo!
MB: L’intervista è finita.
Di norma in apertura e chiusura di ogni articolo metto sempre due brani musicali come colonna sonora. Scegli te il brano per chiudere.
Prima di chiudere vi ringrazio dell’intervista, e ti ringrazio per le domande non banali e della piacevole chiacchierata, sei stato molto gentile ed io mi sono dilungato molto. Spero nella pazienza di chi avrà voglia di leggere! Per il brano, non saprei bene, ma a questo punto, visti i riferimenti, e quanto abbiamo discusso sopra di musica, penso sia più che obbligatorio:
Colonna sonora: “Faster Pussycat Kill Kill” di Bostweeds
Master Blaster